
La prova che conferma la correttezza delle lamentazioni di Xi Jinping e dei sospetti di mezzo pianeta, la forniscono gli stessi americani. Vogliono cambiare la natura delle loro relazioni con Taiwan, a cominciare dagli accordi che erano stati sottoscritti con la Cina. Non lo dicono esplicitamente, ma probabilmente mirano a mettere in discussione il principio di “una sola Cina”, che finora ha fatto sopravvivere tutti senza ricorrere alle cannoniere.
Per questo è stata approvata, in commissione, al Senato, la proposta del Taiwan Policy Act, una nuova legge che sostituirà la precedente disciplina diplomatica. È quello che temevano a Pechino: gli Stati Uniti si vogliono rimangiare gli impegni presi e intendono andare allo scontro con la Cina? I presupposti ci sono tutti. Il testo approvato include “miliardi di dollari in finanziamenti per l’esercito taiwanese e sanzioni contro la leadership politica cinese e le maggiori banche”. Queste ritorsioni scatteranno “se Pechino si impegnerà in un’escalation dell’aggressione per assumere il controllo fisico o politico dell’isola. O se attuerà un blocco navale nello Stretto di Taiwan”.
Inoltre, a Taipei sarà concesso lo status di “alleato non Nato”, un privilegio accordato, tra gli altri, solo a Giappone, Corea del Sud e Israele. Questo particolare trattamento potrebbe far scattare (ma la cosa è tutta da vedere) qualche clausola di cobelligeranza. Per ora serve solo a vendere armi, cosa che, specie dopo la guerra in Ucraina, gli Usa stanno facendo a tutto spiano in ogni parte del mondo. Washington ha in programma di esportare armamenti per 4,5 miliardi di dollari nell’isola. La legge prevede che il personale diplomatico di Taiwan, sia considerato a tutti gli effetti alla stessa altezza del personale diplomatico degli alti Paesi.
Il disegno di legge, sostenuto sia dai democratici che dai repubblicani (o da parte di loro) è passato in commissione per 17 voti contro 5 e presto sarà sottoposto al vaglio del Congresso, per essere poi firmato dal Presidente. Ma anche nell’Amministrazione Biden, qualcuno pensa che la Casa Bianca si stia spingendo troppo lontano. Con la crisi aperta con la Russia, secondo alcuni advisor non conviene scherzare con il fuoco anche con la Cina.
Un articolo, apparso sul South China Morning Post di Hong Kong, scava dietro le quinte dell’establishment Usa per raccogliere critiche e avvertimenti. Alex Lo, che nel suo report definisce la proposta “una buffonata”, dice di sapere le cose come stanno: Biden è intervenuto personalmente per depennare gli articoli “più arditi” della legge. Insomma, difensore della democrazia si, ma fesso proprio no. Il presidente ha riconosciuto che alcune parti del “Taiwan Bill” sembravano studiate apposta per far succedere il finimondo e ha chiesto di modificarle. Il disegno di legge, così, è uscito “annacquato” dalla revisione presidenziale e il suo testo attuale finirà per scontentare tutti: i falchi di Washington e gli indipendentisti a Taipei.
D’altro canto, Alex Lo è abbastanza cauto: visto come stanno andando le cose con la Cina, non è detto che Biden in caso di approvazione, si decida a firmare la legge. Sebbene abbia votato a favore, il senatore repubblicano Mitt Romney ha riconosciuto che si tratta di una legge “altamente provocatoria e bellicosa”. Mentre il democratico Brian Schatz (che ha votato contro) ha sostenuto “che i simboli di sovranità concessi all’isola sono troppo provocatori”. E allora? Semplice. Democrazia, diritti umani, liberà individuali sono certamente valori sacri. Ma visti i dittatori e tutte le canaglie a cui il Presidente Biden stringe le mani e giura amicizia eterna, solo gli scemi del paese ormai possono pensare che gli americani siano degli idealisti in servizio permanente effettivo. No, certe scelte dono dettate dalla geopolitica e dalle sfere d’influenza.
Quindi, cosa sta succedendo nel Mar cinese meridionale? Diciamo che è drasticamente cambiata la politica estera americana. Nei contenuti e nei metodi. A volte sembra che a Washington stia crescendo una specie di “partito della guerra”: la forza, prima della diplomazia, come chiave per risolvere tutte le controversie internazionali.
Il mondo “unipolare”, insomma, cosi ridisegnato dagli strateghi della Casa Bianca, è sempre quello che vede gli Stati Uniti arbitri interessati di tutte le vicende planetarie. Pensavamo che fosse morto e invece una parte dell’establishment contemporaneo, politico, finanziario e militare americano ci crede ancora. E mezz’Europa gli tiene bordone.