E siamo solo all’assaggio. Questa nuova legge costituisce la prima parte della più ampia riforma del sistema giudiziario proposta dal governo di Netanyahu, il più di destra della storia d’Israele, che sta provocando una estesa e irriducibile rivolta civile in tutta la parte ebraica del Paese, mentre quella araba è sull’orlo di una terza intifada, schiacciata in una escalation di violenze contrapposte con già centinaia di vittime, soprattutto palestinesi.
Se la riforma nella proposta del governo dovesse passare, sarebbero tolti i poteri di controllo alla Corte suprema per affidarli al governo, una evidente minaccia al funzionamento della democrazia. Con la legge approvata giovedì solo il consiglio dei ministri (con la maggioranza di tre quarti) potrà dichiarare il primo ministro inadatto all’incarico, e solo per motivi di salute fisica o mentale e non perché è ladro o corrotto.
Lunedì si è tenuta una riunione interna del Likud, il partito del premier israeliano e il clima descritto dai media che avevano fonti interne non era rilassato, segnala il Foglio che non pende certamente a sinistra. Molti parlamentari del Likud erano a disagio proprio con l’argomento che sta dividendo il premier e la piazza. Tirato nel mezzo il ministro della Giustizia Yariv Levin, a tentare di spiegare cosa potrebbe succedere se la Corte suprema decidesse di ribaltare la norma che conferisce più potere alla maggioranza per nominare i giudici.
Israele va incontro a un blocco giudiziario e politico, e gli stessi uomini del premier iniziano ad avere qualche timore, anche se non ancora evoluto in dissenso. Vedere Netanyahu arrivare a Londra tra le proteste ed essere accolto dal premier inglese con un discorso-ramanzina sui princìpi democratici, pesa e crea imbarazzi. Secondo uno degli ultimi sondaggi, il Likud rimane ancora il partito più votato e questo dato stride con la furia della piazza che sembra inarrestabile e sempre più
numerose e agguerrita.
Alcuni uomini del premier temono però che più si andrà avanti con la riforma, più cresceranno i disagi e più il Likud ne farà elettoralmente le spese.
I ‘neocon’ del Queens dietro la riforma della giustizia, scopre Haaretz e rilancia l’agenzia Adnkronos. Il think tank ultradestro di ‘Gerusalemme Kohelet Policy Forum’ emigrato negli Usa che ritorna con la sua creatura consegnata chiavi in mano al governo Natanyahu. Fondato nel 2012 dall’israeliano con doppia cittadinanza americana Moshe Koppel, ‘computer scientist’ e studente del Talmud, emigrato da New York a Israele nel 1980 ora residente nell’insediamento di Efrat, preoccupato ‘per la libertà in Israele’, ma letta dalla parte di Netanyahu.
A finanziare il progetto, un altro americano: il multimiliardario Arthur Dantchik, come ha scoperto Haaretz. Sia Koppel che Dantchik, il cui patrimonio è valutato in 7,2 miliardi di dollari, sono originari del Queens, il più grande dei cinque distretti di New York. Entrambi amano operare lontano dai riflettori. La riforma è stata messa a punto negli anni dal conservatore, libertario e di ispirazione religiosa Kohelet Policy Forum e mai discussa a livello politico prima. Neanche il Likud ne aveva mai parlato al suo interno, come affermano al Likud.
L’esponente del Likud, Keti Shitrit, in una recente intervista sulla contestatissima controriforma della giustizia. «Non siamo stati noi a prepararla, è stato il Kohelet o Qoelet (in ebraico Ecclesiaste, ndr), che da tempo fornisce la destra israeliana di idee e progetti ed è stato pubblicamente ringraziato dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo per il suo sostegno nello spostamento della posizione americana sugli insediamenti dei coloni ebrei in terra palestinese».
Le tattiche dell’istituto sono importate da Capitol Hill», ha spiegato una fonte citata dal Washington Post, per cui fra i programmi del think tank vi sono incontri con parlamentari conservatori americani a convincerli e schierarsi.
«In questo momento si sta spaccando il delicato equilibrio fra la ‘Israele mainstream’ e gli ultra ortodossi che prima accettavano di dipendere da una società liberale e prospera con un apparato militare forte. La nuova generazione di politici religiosi crede che la Israele laica violi il Shabbat o non è attenta alla modestia delle donne, che questo ostacoli l’arrivo del Messia, cercano quindi di riscrivere la vita degli israeliani», ha commentato Yofi Tirosh, vice rettrice di giurisprudenza all’Università di Tel Aviv.
Il deputato ed ex colono in Cisgiordania Simcha Rothman, Presidente della Commissione della Knesset che segue la riforma della giustizia, ha assunto il ricercatore di ‘Kohelet’ Shimon Nataf, come consigliere giuridico. Altri dipendenti del think tank hanno iniziato a partecipare ai negoziati sulla riforma fra esponenti della coalizione e dell’opposizione ospitati nella residenza del Presidente.
«Israele sta vivendo una delle crisi più gravi che abbia mai conosciuto. Anche dopo l’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin, i pericoli che il Paese correva erano meno tangibili. Ora la situazione è diversa. Tre dei membri più estremisti e nazionalisti del Parlamento israeliano – il ministro della Giustizia Yariv Levin, il presidente del Comitato per la Costituzione, il Diritto e la Giustizia Simcha Rothman e Benjamin Netanyahu pluri inquisito a capo del governo». Mai peggio di così.
Netanyahu a Roma. Nell’album di famiglia s’intravede il duce. Ambasciata d’Italia verso Gerusalemme?