Le autorità turche hanno identificato 131 persone sospettate di essere responsabili del crollo di alcune delle migliaia di edifici rasi al suolo durante il terremoto, e per 113 di loro sono stati emessi mandati d’arresto. Chi potev è scappato e si nasconde, mentre e per gli altri è la galera. «Seguiremo la vicenda fino alla conclusione del necessario processo giudiziario, soprattutto per gli edifici che hanno subito danni ingenti e hanno causato morti e feriti», affermato il semi ignoto vice presidente Oktay, a cui Erdogan lascia eccezionalmente il palcoscenico per non rischiare fischi. Anche perché la cose da dire da ora in avanti, saranno sempre più difficili. Le vita spezzate, e un enorme pezzo del Paese distrutto, ridotto ad una distesa di macerie dei suoi 25mila edifici crollati.
Ovviamente, con le migliaia di morti cresce, in modo esponenziale, la rabbia contro Erdogan e il suo governo, il suo partito politico di potere e clientele, ritenuti responsabili del dissesto abitativo del territorio. Non solo, ma i cittadini chiedono, soprattutto di accertare le colpe di chi ha costruito senza rispettare nessun criterio antisismico. O di valutare la posizione, di chi ha rilasciato permessi abitativi, senza che ce ne fossero le condizioni. Ed Erdogan, padre-padrone di una Turchia ritenuta democrazia ‘per modo di dire’, ha spinto la magistratura a fare centinaia di arresti in tempi record. Intanto, lui, ha dichiarato lo stato di emergenza per 3 mesi. Giusto fino a maggio, quando si vota per le Presidenziali e per Legislative e, di questo passo, l’uso molto discreto del bastone e quello più evidente, della carota, che sempre fa Erdogan, potrebbe non bastare.
Il terremoto, infatti, ha colpito uno dei suoi serbatoi elettorali più importanti. Quasi un modello di consenso, tra la provincia, il suburbano e il settore agricolo, che è uno spaccato di come vota la Turchia nel resto del Paese. Delle dieci le province interessate dal disastro, ben sette (Malatya, Osmaniye, Sanliurfa, Kilis, Gaziantep, Adiyaman e Kahramanmaras sono amministrate dal Partito per la Giustizia e il Lavoro (AKP) di Erdogan e una, Diyarbakir -la città ‘capitale curda’-, da un commissario nominato direttamente da lui. Solo nelle ultime due (Hatay e Adana) la responsabilità della governance è affidata all’opposizione (Partito Popolare Repubblicano). In totale si tratta di circa 13 milioni e mezzo di persone, che adesso dovranno essere assistite in qualche modo. E questo rappresenta, per la già traballante economia turca, un colpo micidiale, proprio nel momento in cui alcuni indicatori stavano migliorando, a cominciare dall’inflazione. In effetti, grazie al calo del prezzo dei carburanti e di alcune materie prime, da un incredibile 85% l’inflazione era scesa ultimamente fino a 58%.
Adesso, però, bisognerà trovare i soldi per la ricostruzione. E il deficit di bilancio, che era previsto al -3,5% su Pil, salirà, probabilmente, fino al – 5%. L’impegno che ora si trova davanti il ‘sultano’ è pesante, e i tempi che lo separano dalle elezioni troppo brevi (meno di 3 mesi). In un primo censimento delle devastazioni, si parla di almeno settemila edifici completamente distrutti. Erdogan ha promesso di versare alle famiglie colpite un aiuto immediato di 10 mila lire (circa 540 dollari) e ha detto che costruirà le case distrutte entro un anno. Per chi ci crede. Inoltre, il governo pagherà l’affitto a quelle famiglie ‘che non vorranno vivere nelle tende’.
Un altro problema aggiuntivo, oltre a quello dei fondi che dovranno essere spesi per la ricostruzione, arriva dal ‘congelamento’ produttivo della zona colpita, che rappresenta il 9% del Pil turco che ora, in gran parte, verrà a mancare. Così come verranno a mancare, per lo Stato, le entrate fiscali, la cui raccolta è stata rinviata (per ora) a luglio. Il Prodotto interno lordo pro capite, a livello nazionale, nel 2022 si è aggirato intorno ai 9.900 dollari. La zona colpita, sostanzialmente, arrivava a poco più di 2/3 di questo dato. Ebbene, nell’anno in corso, il sisma farà abbassare sensibilmente questa soglia, e l’area disastrata dovrebbe arretrare, fino a un Pil compreso tra 5.500 e 6 mila dollari.
In totale, la sola ricostruzione degli edifici costerà almeno 10 miliardi di dollari. C’è poi tutto il capitolo riguardante le infrastrutture (strade, ferrovie, porti, aeroporti), le ‘facilities’ (acquedotti, linee elettriche etc.), e gli impianti produttivi. Tutto questo dovrà essere quantificato e richiederà una mole immensa di finanziamenti aggiuntivi. Intanto, qualcuno ha già lanciato l’allarme per un possibile default bancario nella regione, con i cittadini impossibilitati a restituire i prestiti che hanno contratto.
No, il quadro non sembra proprio favorevole per una tranquilla rielezione di Recep Tayyip Erdogan.