«Questo accordo ‘migliorerà la capacità’ a lungo termine del Kosovo di difendere la propria sovranità e integrità territoriale. Il Kosovo non avrà difficoltà ad assorbire questo equipaggiamento nelle sue forze armate», scrive la Defense Security Cooperation Agency. Dimenticando che per l’accordo di pace di Kumanovo imposto alla Serbia dopo i bombardamenti Nato 1999, e sancito da accordi internazionali, -Risoluzione Onu 1244-, esclude che il Kosovo possa avere un suo esercito. Sino a ieri la finzione della ‘Forze di sicurezza’ di Pristina, ora la presa ufficiale per i fondelli da parte di Washington.
Il ministro della difesa del Kosovo, Ejup Maqedonci, ha confermato che quei 75 milioni di missili anticarro Javelin «sono parte del piano di transizione della Forza di Sicurezza del Kosovo (KSF) verso un esercito regolare». Finora le unità militari kosovare non hanno potuto dotarsi di armamenti pesanti perché l’integrità del suo territorio è garantita dalla presenza di circa 4.500 militari NATO K-FOR (Italia pesantemente coinvolta da 25 anni). Ma da ottobre la forza alleata presente in Kosovo è a comando turco, e forse ciò che sta accadendo non è un caso.
Il ministro kosovaro ha aggiunto che Pristina intende dotarsi anche di sistemi di difesa antiaerea aggiungendo che ha contratti per la fornitura di armamenti con Stati Uniti, Turchia e Germania.
Il presidente serbo Aleksandar Vucic, in un colloquio con l’ambasciatore americano a Belgrado Christopher Hill, è stato decisamente educato. «Grande delusione» per la decisione di Washington di accogliere la richiesta del Kosovo sui missili anticarro. Modifica che violerebbe la Risoluzione 1244 adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 1999 al termine della guerra che prevede che l’unica forza militare autorizzata a stazionare sul territorio del Kosovo sia la K-FOR.
Ma il governo kosovaro, forte di altri esempi, non sembra preoccuparsi di Onu e altri impegni firmati. L’estate scorsa il premier Kurti aveva annunciato che in due anni era stato aumentato il numero degli uomini della KSF di oltre l’80%, e più che raddoppiato il bilancio della Difesa. E il loquace ministro Maqedonci, il 18 gennaio, ha annunciato l’acquisizione di altri armamenti non meglio specificati.
Sempre e solo colpa delle Serbia, dice Pristina. E a Washington sono evidentemente d’accordo. «Non stiamo facendo nulla al di fuori del piano che abbiamo concordato per lo sviluppo delle Forze del Kosovo, dichiara il ministro kosovaro», svelando un accordo politico con gli Usa ben definito. «Non tutte le operazioni sono note al pubblico perché ogni esercito ha le sue procedure di riservatezza». Anche nei confronti della Nato e dei contingenti che lì si trovano ad operare in una situazione di sempre maggior rischio.
«Pristina sta discutendo anche con altri Paesi oltre agli Stati Uniti per l’acquisto di armi. Negli Stati Uniti abbiamo fatto altri acquisti prima dei Javelin», ha esibito il ministro, dicendosi ‘ottimista’ sull’approvazione del Congresso.
Secondo il Military Balance, la ‘Kosovo Security Force’ conta su 2500 effettivi e 800 riservisti con armi leggere e veicoli blindati M1117 statunitensi e alcuni Cobra turchi. I droni armati TB2 e i missili Javelin costituiranno quindi un considerevole incremento delle capacità della forza paramilitare kosovara, precisa Giandomenico Gaiani su Analisi Difesa. Eppure, il comunicato della Defense Security Cooperation Agency riesce a sostenere che «la proposta vendita di tali attrezzature e supporto non altererà l’equilibrio militare di base nella regione».
Dopo i recenti incidenti nel nord del Kosovo dopo la nomina di sindaci albanesi in 4 comuni a maggioranza serba in seguito al boicottaggio delle elezioni locali (i serbi rimasti sono circa 120mila su 1,8 milioni di abitanti), sempre Analisi Difesa avverte come, «l’iniziativa kosovara di rafforzare e militarizzare la Kosovo Security Force potrebbe accendere ulteriori scintille con Belgrado che nei mesi scorsi aveva concentrato forze militari al confine».
Meno appariscente ma forse ancora più escludente la decisione economica del governo Kurti. Da febbraio vietati i pagamenti in dinari utilizzati dalla popolazione serba in Kosovo, a favore dell’euro impiegato in Kosovo come valuta ufficiale. Valutazione tecnica facile. «Pristina intende con ciò rendere impossibile ai serbi di restare in Kosovo», denuncia Belgrado parlando di pulizia etnica mascherata. «Un gran numero di persone, la gran parte dei serbi del Kosovo –soprattutto anziani- vivono con i proventi elargiti dal governo serbo, e con tale misura Pristina mette in pericolo la loro sopravvivenza».
Questa nuova crisi si inserisce in un contesto di tensione in tutta l’area con l’Entità’ serba della Bosnia-Erzegovina (Republika Srpska) che punta al ricongiungimento con Belgrado, mentre USA e UE hanno aumentato la pressione economica e diplomatica sulla Serbia (candidata all’ingresso nell’Unione Europea) in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina che vede Belgrado non fornire armi a Kiev e rifiutarsi di imporre sanzioni a Mosca.
La destabilizzazione dei Balcani non dovrebbe rientrare (sempre AD) negli interessi delle nazioni europee e in particolare dell’Italia che ha comandato a lungo K-FOR e schiera in Kosovo oltre 600 militari, ma negli ultimi due anni -governo Kurti-, sono progressivamente aumentate le tensioni tra Serbia e Kosovo coronate con la nomina -prima volta- di un comandante turco di KFOR, considerando la posizione dichiaratamente filo-kosovara e filo-albanese di Ankara.
Non sorprende neppure che il documento della DSCA precisi che la proposta di vendita dei missili Javelin «sosterrà gli obiettivi di politica estera e di sicurezza nazionale degli Stati Uniti -la parte di verità-, migliorando la sicurezza di un partner europeo», la menzogna beffarda a chiudere.
L’iniziativa unilaterale statunitense in un’area dove sono presenti anche interessi e contingenti militari europei mette in qualche imbarazzo la NATO, o almeno alcuni alleati. Farnesina a governo Meloni silenti. Tocca al generale italiano Giampiero Romano, capo dell’Ufficio militare di collegamento della NATO in Serbia «confermare la contrarietà della NATO alla trasformazione della Forza di Sicurezza del Kosovo in un esercito regolare».
Difficile credere che il progetto di militarizzazione della KSF, riferito dal ‘ministro della Difesa’ di Pristina, possa rispettare la risoluzione dell’ONU, senza avere avuto il via libera preventivo da Stati Uniti, Turchia e altri partner dell’alleanza. Il ministro Maqedonci che certo parla troppo, ha citato il «piano che abbiamo concordato per lo sviluppo delle Forze del Kosovo», senza dire con chi lo avrebbe concordato. Ma noi e voi abbiamo un’idea chiara sul chi.
Non è certo la prima volta che gli Stati Uniti anche all’interno di alleanze, operano in modo autonomo e unilaterale con iniziative politiche e militari. Salvo premere collettivamente su Belgrado affinché aderisca alle sanzioni a Mosca e agli aiuti militari a Kiev.
«I risultati, dall’Iraq all’Afghanistan alla Siria, non sono stati entusiasmanti e hanno contribuito più a destabilizzare che a stabilizzare tali aree. Non vi sono dubbi che premere sull’acceleratore della destabilizzazione del Balcani significa infliggere un ulteriore colpo alla sempre più fragile Europa».