
Il generale Joel Vowell, comandante in capo delle forze Usa schierate nell’arcipelago nipponico, è netto e a suo modo chiaro: «gli sforzi del Pentagono, attuati anche attraverso ripetute esercitazioni, sono quelli di garantire la sicurezza giapponese soprattutto nell’arco di isole verso sud». Isole verso sud, esattamente nella direzione del Mar cinese meridionale (la tenaglia con le nuove basi Usa nelle isole filippine a nord, verso lo stretto di Taiwan). Mar cinese che sembra diventato, Ucraina a parte, la regione più ‘calda’ del pianeta. Vowell, scrive il South China Morning Post di Hong Kong, sostiene, come abbiamo già anticipato, «il Giappone ha spostato la sua attenzione difensiva, dalla Corea del Nord alla Cina». Tutto questo a causa della presunta minaccia alle isole sud-occidentali, compreso l’arcipelago di Ryukyu.
Ed è proprio qui che i due alleati hanno cominciato, come si dice in gergo, ‘a mostrare la bandiera’ ai cinesi, dirottando le attuali esercitazioni, fatte di massicce manovre militari, denominate Yama Sakura e Orient Shiekd. La tensione è inevitabilmente salita, tanto che cinesi e giapponesi hanno deciso di incontrarsi per cercare di stemperarla.
Un paio di settimane fa, si è deciso di istituire una ‘hot line’, un ‘telefono rosso’, che consentisse di chiarirsi in tempo reale, in caso di incidenti militari. In realtà, l’unico contenzioso veramente aperto tra Pechino e Tokyo è quella riguardante le Senkaku, un gruppo di insignificanti isolette. Mentre, la vera materia del contendere, è l’atteggiamento del Giappone sulla questione di Taiwan. Che «per dovere d’alleanza con gli Stati Uniti», è formalmente critico nei confronti della Cina. Quest’ultima, ha ribadito più volte di non comprendere la preoccupazione del governo nipponico per le sorti di Taiwan e, più in generale, per la sicurezza della navigazione nel Mar cinese meridionale.
L’allusione dei diplomatici di Xi Jinping è chiara: a Tokyo si manifestano riserve, al limite dell’interferenza negli affari interni di uno Stato sovrano. E questo benché quasi tutti i Paesi del mondo riconoscano il principio di diritto internazionale della ‘Cina unica’.
A Pechino, ma non soltanto, sono convinti che la presa di posizione della diplomazia giapponese sia quantomeno ‘forzata’, con qualche parte che arriva a denunciare una sorta di ricatto politico condotto dalla Casa Bianca. Che ci sia una tangibile pressione americana, a schierarsi apertamente contro Pechino è testimoniato dall’evoluzione della politica estera sudcoreana. Che, in questa fase, vive le stesse ambasce di quella giapponese con le armi ora concesse all’Ucraina. Si tratta, come per altri Paesi dell’area Indo-pacifica, di una fase critica, nella quale i fragili, ma logori equilibri esistenti, rischiano di rompersi definitivamente. Con rischi planetari enormi.
Tutto il continente asiatico, per non dire gran parte del pianeta, dipende dalle catene di approvvigionamento produttivo in partenza dalla Cina. E la strategia di ‘disaccoppiamento’ perseguita dall’amministrazione Usa, per colpirla economicamente, rischia di provocare giganteschi danni collaterali. Specie a quegli Stati che, per la loro strutturale debolezza finanziaria, hanno necessità di poter contare su fattori della produzione a buon mercato. Insomma, Taiwan è solo la porta d’ingresso di uno scontro titanico, tra una superpotenza che ha già affermato la sua supremazia e vuole difenderla. E un’altra che, invece, non vede l’ora di scalzarla.
L’asse della crisi geopolitica planetaria ruota, sempre più velocemente, verso Est. La guerra in Ucraina sembra quasi scivolare in secondo piano, se si paragonano gli sviluppi del duro confronto tra Cina e Stati Uniti, nell’Indo-Pacifico. Ormai si assiste, quotidianamente, a una vera e propria guerra mondiale diplomatica, con i diversi Paesi della vasta regione costretti a prendere posizione. Quello che una volta era il vecchio concetto di ‘non allineamento’, oggi, in pratica, non esiste più.
Si è quasi obbligati a scegliere. E la cosa vale anche per quegli antichi alleati degli Usa che, magari, farebbero volentieri a meno di entrare in rotta di collisione con una superpotenza come la Cina. Un nemico già molto minaccioso di suo, che diventa ancora più pericoloso quando ce l’hai davanti all’uscio di casa.