Xi a Biden: «la Terra è abbastanza grande per tutti e due»

Biden, «è un successo che Usa e Cina si parlino», ma poi ‘inciampa’. Con gaffe finale classica : ‘Xi dittatore’. ‘Sì, ma di successo’, verrebbe da dire. Conferenza stampa dopo il meeting con il leader cinese, domanda maligna («ribadisce che Xi Jinping è un dittatore, come lo ha già definito in precedenza?»). «Beh, guarda, lo è, nel senso che è la persona che governa un Paese comunista, basata su una forma di governo totalmente diversa dalla nostra». Sincero, ma devastante. Perché non si trattava di una conversazione tra amici, ma della conferenza stampa del Presidente degli Stati Uniti, in diretta mondiale.

Almeno una ‘guerra per sbaglio’ evitata

A quanto pare, quello a cui teneva di più, il Presidente americano l’ha ottenuto: evitare una terza e questa volta catastrofica crisi militare mondiale, che veda coinvolti ‘per sbaglio’ gli Stati Uniti. Ed era anche il nodo più facile da sbrogliare. Ai giornalisti, che gli chiedevano cosa sperasse di ottenere, prima dell’incontro con Xi, Biden aveva risposto: «Tornare a un normale corso di corrispondenza, prendere un telefono ed essere in grado di parlare con loro in caso di crisi. E, inoltre, garantire che i nostri apparati militari siano ancora in contatto tra di loro». E da quanto è trapelato, è stato proprio questo uno dei risultati più significativi della ‘Bidendiplomacy’ verso la Cina.

Zero dichiarazioni, solo belle parole

Mentre scriviamo, l’unica nota ufficiale rilasciata è un breve commento di Biden sui social: «Apprezzo la conversazione che ho avuto oggi con il Presidente Xi – ha scritto – perché penso che sia fondamentale capirci chiaramente, da leader a leader. Ci sono sfide globali critiche, che richiedono la nostra leadership congiunta. E oggi abbiamo fatto dei veri progressi». Xi Jinping, dal canto suo, ha usato una metafora molto efficace. «La Terra – ha detto – è un pianeta grande abbastanza per contenere Usa e Cina senza bisogno di conflitti». Riallacciare le comunicazioni tra i militari è stata un’operazione ritenuta indispensabile da tutti gli ‘strategist’ del Pentagono, dopo che, l’anno scorso, il viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan aveva praticamente interrotto il dialogo tra le forze armate delle due superpotenze. Da allora, il rischio di uno scontro bellico da ‘miscalculation’, un errore nel Mar Cinese meridionale e nello Stretto di Taiwan in particolare, era cresciuto esponenzialmente.

Il deterioramento del quadro geopolitico mondiale, dall’Ucraina al Medio Oriente, ha poi convinto gli americani che sarebbe stato improponibile essere impegnati su tre fronti. Da qui l’urgenza di un accordo con la leadership cinese, per ripristinare le ‘linee rosse’ tra i due eserciti.

Protezione ambiente

Altro punto a favore autoassegnatosi da Biden, è stato l’accordo sulla protezione dell’ambiente. Finalmente, Usa e Cina si sono impegnati «a proseguire gli sforzi per triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale entro il 2030, e ad accelerare la sostituzione della produzione di petrolio, carbone e gas». E i due Paesi hanno anche concordato di includere il metano, nel programma di riduzione delle emissioni con scadenza 2035.

Business e droga

Dal punto di vista del ‘business’, dovrebbe essere stato definitivamente sbloccato l’acquisto di un numero consistente di Boeing 737 Max, che saranno ordinati dalla Cina. Un altro grosso problema, che a Biden interessava risolvere, era quello del Fentanil, la droga sintetica che sta devastando la società americana. Ebbene, pare che i componenti chimici di base arrivino proprio, a prezzi stracciati, dai mercati del colosso asiatico. Su questo ci dovrebbe essere l’impegno di Xi Jinping a cercare di frenare. Fin qui le cose che hanno funzionato.

Chiacchiere e ambiguità

Per il resto, tante chiacchiere, diverse promesse e un mare di ambiguità. Biden ha sollevato una quantità di problemi geopolitici, dall’Ucraina al Medio Oriente e, ovviamente, «la stabilità nell’area del Mar Cinese meridionale», la rogna di Taiwan. La diplomazia seria non confessa mai le cose ‘inconfessabili’ –silenzi o cose non dette-, e devi dedurre. Sui primi due argomenti -Ucraina e Medio Oriente-, si è rimasti fermi alle chiacchiere. Probabilmente, è stato chiesto a Xi (e soprattutto a una vecchia volpe come il ministro Wang Yi) di ‘ammorbidire’ la posizione degli ayatollah, per quanto riguarda la crisi Israelo-palestinese. Il motivo è sempre il solito: la Casa Bianca teme l’allargamento della crisi, con l’isolamento di Tel Aviv. Cosa che la costringerebbe a intervenire in prima persona.

Taiwan la partita a rischio

Diversi, i problemi diplomatici, che si prospettano nel caso di Taiwan. A gennaio, nell’isola, si vota e i sondaggi attuali danno in testa un partito che vorrebbe proclamare l’indipendenza. Sarebbe una dichiarazione di guerra a Pechino. Biden lo sa e ha già detto (dietro le quinte) «che gli Stati Uniti sono contrari». Washington conferma a Pechino che Taiwan ‘non si tocca’, ma che è contraria alla indipendenza che strapperebbe tutti gli accordi storici una sola Cina. E poi, perché bisognerebbe mettere mano ai cannoni e, sinceramente parlando, pure gli americani ne hanno abbastanza di risolvere qualsiasi controversia con le bombe.

Export tecnologico, sfida aperta

Dovei cinesi bussano e gli Usa non aprono è nel delicato settore dell’export della tecnologia. Xi ha chiesto a Biden di rendere più soft questa posizione, che sente come una forma di ‘disaccoppiamento’, di esclusione mascherata. Pechino ha bisogno dell’esperienza americana nel delicato settore dei microchip, specie quelli più complessi, di ‘fascia alta’. Gli Usa, invece, hanno stretto i rubinetti, perché dicono che il trasferimento di tecnologia sofisticata può essere un pericolo per la loro sicurezza nazionale. Gli osservatori cinesi, invece, ribattono che i divieti all’export, introdotti con il ‘Chips Act’, servono solo a penalizzare la capacità produttiva e le prospettive di crescita del Pil cinese.

Comunque sia e per tagliare la testa al toro, dopo aver discusso con Biden, Xi Jinping ha invitato a cena una marea di capitalisti d’assalto ‘Made in Usa’, pronti a fare affari con la Cina. Insomma, forse è il caso di dire che, comunque vada, il viaggio non l’ha fatto a vuoto.

GAFFE FINALE CLASSICA: ‘XI DITTATORE’

Xi dittatore? ‘Sì, ma di successo’, verrebbe quasi voglia di dire. Dunque, stanotte è capitato il solito ‘misunderstanding’ diplomatico che, come è ormai tradizione, si verifica quando Joe Biden parla ‘a braccio’. Durante la conferenza stampa dopo il meeting con il leader cinese, rispondendo a una domanda precisa («ribadisce che Xi Jinping è un dittatore, come lo ha già definito in precedenza?») il Presidente Usa ha preso l’ennesimo scivolone. «Beh, guarda, lo è – ha detto, come riporta il Washington Post – nel senso che è la persona che governa un Paese comunista, basata su una forma di governo totalmente diversa dalla nostra». Sincero, ma devastante. Perché non si trattava di una conversazione tra amici, ma della conferenza stampa del Presidente degli Stati Uniti, in diretta mondiale.

Cina con eleganza, per Xi ‘standing ovation’

Pronte la risposta del Ministero degli Esteri cinese: «Questa affermazione è estremamente sbagliata – ha sostenuto il portavoce Mao Ning – e rappresenta una manipolazione politica irresponsabile». E mentre Biden cercava di destreggiarsi, nelle curve pericolose di un faccia a faccia con la stampa sempre scomodo per lui, Xi Jinping intanto mieteva consensi alla cena organizzata con i capitalisti ‘Made in Usa’. «Xi suscita una standing ovation da parte dei leader aziendali statunitensi e alcuni dubbi», titola il Wall Street Journal.

Confermando l’impressione, tutto sommato positiva, del mondo produttivo americano sulla visita del Presidente cinese. Certo, avverte il ‘Journal’, si è mantenuto molto sul vago, senza definire programmi precisi. Ma per quello (si spera) ci sarà tempo.
Tags: Biden Usa Cina Xi
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