Putin ha dichiarato una mobilitazione parziale in Russia, con il richiamo dei militari della riserva. «Nella sua aggressiva politica anti-russa, l’Occidente ha superato ogni limite», ha detto Vladimir Putin nel suo discorso in tv.
«Coloro che stanno cercando di usare il ricatto nucleare contro la Russia scopriranno che le carte in tavola possono essere rivoltate contro di loro». «Non sto bluffando», ha aggiunto.
«È nostra tradizione storica e destino del nostro popolo fermare coloro che cercano il dominio mondiale, che minacciato di smembrare e rendere schiava la madrepatria. È quello che stiamo facendo ora, e credo nel vostro sostegno», la conclusione di Putin nel suo discorso alla nazione.
La mobilitazione parziale in Russia prevede il richiamo di 300.000 riservisti. Si tratterà di uomini che hanno già servito nell’esercito, con esperienza di combattimento e specializzazioni militari. Sono esclusi i militari di leva. Lo ha detto il ministro della Difesa Serghei Shoigu, citato dalla Tass, aggiungendo che scopo della mobilitazione è “controllare i territori liberati” in Ucraina. L’annuncio di Putin segna un cambio di marcia militare della Russia e quella ordinata ora è la prima mobilitazione militare russa dalla Seconda guerra mondiale.
Il decreto di mobilitazione militare parziale e i richiami alla armi partono da oggi. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, parlando in tv subito dopo Putin, ha definito «difficili», le condizioni sul campo: «Non stiamo combattendo contro l’Ucraina, ma contro l’Occidente». Il Donbass — ha annunciato poi il presidente russo, «è ormai parzialmente liberato»: ma occorre un nuovo passo, e per questo «i territori dell’Ucraina che hanno annunciato il referendum per l’adesione alla Russia hanno il sostegno» di Mosca.
I governatori di quattro province ucraine occupate, le province di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, hanno indetto un referendum per essere integrate nella Federazione russa, così com’era accaduto in Crimea nel 2014. I referendum si terranno tra il 23 e il 27 settembre. Se il voto andrà come largamente atteso, queste aree, che corrispondono a circa il 15 per cento del territorio ucraino -un’area vasta quanto il Portogallo, sottolinea qualcuno-, diventerebbero, nell’ottica di Mosca, territorio russo, e dunque ogni attacco ucraino contro queste aree sarebbe considerato un attacco diretto contro il territorio di Mosca.
L’Occidente ha già chiarito che non intende riconoscere il risultato di questi referendum. No espliciti al riconoscimento, dal Dipartimento di Stato americano, col seguito scontato del Segretario generale della Nato, Stoltenberg. A ruota il ministero degli Esteri britannico che ha definito la dichiarazione di Putin una «preoccupante escalation», sostenendo che «le minacce del presidente russo vanno prese seriamente».
L’annessione del Donbas e delle altre due oblast’ creerebbe continuità territoriale tra la penisola di Crimea e la Russia nei suoi confini internazionalmente riconosciuti, ma soprattutto metterebbe l’Occidente di fronte a un bivio: accettare il fatto compiuto o continuare ad armare l’Ucraina per aiutarla a riconquistare territori che ormai Mosca dichiarebbe russi.
«Le prossime ore saranno indispensabili per capire se il ricorso al referendum, e quindi la concreta minaccia di integrare altre terre ucraine e il rischio di una escalation sul piano militare, facciano parte di un tentativo più ampio, ancorché confuso, di fissare i cardini di una possibile intesa», rileva Luigi De Biase sul Manifesto. Con il solo presidente turco Erdogan che tra le forze Nato sembra i gradi di tenmer3e contatti e forse mediare tra Kiev e Mosca oltre la parole grosse che da Washington inseguono quelle del Cremlino.
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