
L’inflazione di luglio nell’Eurozona (l’area limitata alla moneta unica) è stata calcolata all’8,9%. Quella relativa invece all’Unione, nel suo complesso, è arrivata quasi a sfondare il 10% (per l’esattezza, il 9,8%). Una mezza catastrofe, se solo ci si ferma a pensare che, esattamente un anno fa, questo dato era del 2,5%. E tutto ciò è avvenuto dopo il primo rialzo dei tassi d’interesse (50 punti base), deciso dalla BCE meno di un mese fa.
I tassi valutati da Eurostat sono “armonizzati”, nel senso che livellano e rendono omogenee le “specifiche” di ogni Paese. Quindi i trend proposti, anche a fronte di differenze sostanziali dei sistemi economici, sono assolutamente comparabili. Ogni Stato ha una sua inflazione nominale diversa e un potere d’acquisto differente.
L’Italia, per esempio, ha un’inflazione armonizzata dell’8,4%, mentre i baltici (Lettonia, Estonia e Lituania) superano tutti il 20%. La Finlandia e all’8% e la Francia al 6,8%. Gli altri formano una “rosa” abbastanza sgranata. Con la Germania intorno all’8,5%, la Spagna all’11%, l’Olanda al 10,5%, la Grecia al 12% e la Repubblica Ceca che tocca il 18%. E questo è solo uno dei problemi di “assemblaggio”, che si trova davanti la BCE.
Ogni Paese, poi, ha una sua inflazione “specifica”, determinata da prodotti eterogenei o servizi, che incidono in maniera diversa sulla sua composizione. L’energia, i carburanti, gli alimentari (il cosiddetto “carrello della spesa”) vengono ritenuti fattori “volatili”. Cioè, difficili da determinare nel lungo periodo. Come si vede, mettere le cose a posto non è facile e perdere tempo nel metterle a posto, rende ogni cosa complicata.
Ma tutto questo dissesto finanziario del Vecchio continente, si può dire che sia stato una sorpresa? A essere buoni, forse per i “distratti”. E, a essere cattivi, soprattutto per gli incapaci, che affollano le istituzioni comunitarie, dove occupano posti di responsabilità senza meritarseli. L’allarme, anche da Remocontro, era stato lanciato molto per tempo: attenzione signori della Banca centrale europea, perché l’inflazione vi scappa di mano.
Non bisognava essere laureati ad Harvard per capire che le turbolenze finanziarie, che già imperversavano negli Stati Uniti e nel Regno Unito, si sarebbero trasferite, matematicamente, in Europa. Inutile fare qui la storia dei fattori che hanno sconvolto i mercati, dalla pandemia al “salto” della catena degli approvvigionamenti, fino alla sciagurata invasione russa dell’Ucraina.
Ci sono senz’altro elementi strutturali, alla base di un fenomeno inflazionistico ormai prepotente, che si estende a livello planetario, non risparmiando nessuno. Ma ogni sistema si difende con le armi che ha, perché la crisi non è omogenea e si diffonde a macchia di leopardo. È anche questa la tesi di Henry Kaufman, il prestigioso economista di Solomon Brothers, grande fama di “guru” della finanza. Intervistato dal Financial Times, a proposito del dilagare dell’inflazione a livello mondiale, Kaufman ha messo in guardia le banche centrali, a cominciare dalla Federal Reserve. Mostrarsi esitanti, ha detto il “mago della finanza” potrebbe lanciare dei messaggi sbagliati ai mercati.
Nel mirino soprattutto la strategia antinflazionistica adottata da Jérome Powell, il presidente della Fed statunitebnse. Una strategia che Kaufman giudica priva di nerbo, non all’altezza di quella utilizzata da Paul Volcker tra gli anni ’70 e gli anni ‘80. Oggi, e non potrebbe essere altrimenti, la BCE comincia a fare autocritica quando invece, fino a pochi mesi fa, manifestava un cauto ottimismo. Isabelle Schnabel, del Comitato esecutivo dell’istituto di Francoforte, ammette che, anche dopo il primo rialzo dei tassi di luglio, l’inflazione continua a salire. E le prospettive, confessa la funzionaria, non sono per niente incoraggianti e aggiunge: anche con una recessione alle porte, dovremo proseguire nella politica di stretta monetaria.
Quindi, la Schnabel rivela, nella sua intervista alla Reuters, quella che quasi sicuramente sarà la decisione che verrà presa, il prossimo 8 settembre, dal “board” della banca: cioè quella di ritoccare ancora una volta i tassi, aumentandoli di altri 50 punti base. Una politica accolta con favore dagli economisti della Bundesbank, che storicamente hanno sempre visto l’inflazione come il nemico pubblico numero uno.
I tedeschi non hanno mai né condiviso né sostenuto un ruolo di stimolo all’economia da parte della Banca centrale europea. Pensano che, in primo luogo, debba difendere il cambio e il potere d’acquisto dell’euro. Tutto il resto viene dopo. Anche la recessione.