Nemici per la pelle: la Cia che segnala le bombe Isis e poi svela a far dispetto

Stati Uniti-Iran partita infinita. L’ultima notizia, fresca dalle segrete stanze dei servizi di informazione americani, a sorprendere. L’Intelligence di Washington ha cercato di aiutare (o di tener calmi) gli ayatollah, avvertendoli che l’ex Isis stava per colpirli, come poi è avvenuto. Problemi di equilibri politici e di estremismi interni. Ognuno i guai propri. Israele e il governo militarista di Netanyahu per Biden; Hezbollah, Houthi e pezzi dell’Iraq per Tehran oltre a problemi poco noti di equilibri interni.

I ‘segreti’ da far diffondere

Rivelazione affidata al Wall Street Journal, arrivata -come da manuale- ‘da non meglio precisati funzionari dell’Amministrazione Biden’. Da fatto, la Casa Bianca ci teneva a far sapere ‘ufficiosamente’ che le informazioni trasmesse al regime iraniano «erano sufficientemente specifiche sulla posizione e sufficientemente tempestive da potersi rivelare utili a Teheran per contrastare l’attentato del 3 gennaio scorso, a Kerman. O, almeno, a limitarne il numero delle vittime». Insomma, ‘rivelazione al veleno’, visto che pochi giorni dopo due potenti esplosioni uccisero 84 persone, che si stavano recando a una cerimonia per commemorare la morte dell’ex comandante delle Guardie rivoluzionarie, Qassem Soleimani.

Isis killer e i mandanti di sempre

Il governo iraniano, dopo il massacro, accusò Israele e gli Stati Uniti di avere sostenuto i gruppi che avevano agito (si parlò quasi subito dell’Isis) per piazzare le bombe. Oggi, dopo le decisamente inconsuete ‘precisazioni’ giunte da Washington, la narrativa cambia. In effetti, il braccio dello Stato islamico coinvolto è quello afghano, ‘Isis Khorasan’, e questo spiega perché gli americani avessero raccolto diversi indizi preventivi. Nonostante siano praticamente scappati dall’Asia centrale, gli Usa hanno lasciato una fitta rete di osservatori e informatori su tutti i movimenti, non solo dei talebani, ma di tutte le altre milizie coinvolte nel turbolento arcipelago afghano.

Cia inascoltata: sfiducia o grane interne?

Cia dall’insolito ‘volto umano’. Ma Tehran non si fida. Inefficienza degli apparati di sicurezza iraniani, diffidenza verso l’avvertimento Usa o, più cripticamente, altre oscuri ragioni di qualche partita, che forse si sta giocando all’interno degli stessi vertici del regime iraniano? La notizia supera, col suo impatto geopolitico, i confini della cronaca, aprendo considerazioni sugli scenari diplomatici e strategici attuali. Dunque, gli americani, stando alle rivelazioni, hanno avvisato i mortali nemici iraniani del possibile attentato. Tutto ciò, nonostante la cerimonia riguardasse un personaggio (Soleimani) ucciso in un attacco mirato, nel 2020, proprio da un drone degli Stati Uniti. Sembra quasi un paradosso.

Le dure ‘Guardie rivoluzionarie’

Dopo il tragico evento di Kerman, il generale Hossein Salami, delle Guardie rivoluzionarie, ha lanciato accuse mirate: «oggi lo Stato Islamico è scomparso e i jihadisti agiscono solo come mercenari per gli interessi di Stati Uniti e Israele». Interessi legati tra di loro, ma non sempre. E tutta la vicenda resta circondata da un alone di mistero ed opportuno sospetto. Sia i funzionari americani che il personale diplomatico iraniano, sollecitati dal WSJ, si sono rifiutati di fare commenti. In teoria, esiste una direttiva (chiamata ‘Dovere di avvisare’), che dovrebbe essere applicata dall’Intelligence Usa.  Consiste nell’obbligo (morale) di girare informazioni ‘sensibili’, in vista di attacchi terroristici, anche ai non americani.

Nel caso che stiamo esaminando, sembra che ci sia la volontà di Washington di tenere aperti i tortuosi canali di dialogo con gli ayatollah che evidentemente esistono.

Contro i duri dell’escalation (non solo in Iran)

Obiettivo abbastanza chiaro, smontare sul nascere qualsiasi alibi che spinga i ‘duri e puri’ del regime a tentare qualche colpo di testa. Gli analisti non hanno ancora espresso un parere sostanziale, sulle ragioni che hanno impedito, alle forze di sicurezza di Teheran, di prevenire gli attentati. Quello di Kerman, con 84 morti e centinaia di feriti, è stato il rovescio più sanguinoso che l’Iran abbia subito, a partire dalla rivoluzione islamica del 1979. L’Isis, rivendicando l’attacco, ha detto che a compierlo sono stati due suoi agenti. Il gruppo estremista sunnita considera apostati i mussulmani sciiti, che costituiscono la maggioranza della popolazione persiana.

Un’indagine del Ministero dell’Intelligence dell’Iran, effettuata il 10 gennaio e di cui sono venuti a conoscenza i Servizi americani, ha stabilito che gli autori fanno parte di una cellula terroristica Isis-K partita dal Tagikistan. A questo punto, l’avvertimento giunto da Washington chiude un cerchio e diventa essenziale, per smontare qualsiasi eventuale velleità bellicistica dell’ala ‘militarista’ della teocrazia persiana.
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