«Soltanto negli ultimi tre mesi dello scorso anno il patrimonio netto delle famiglie che fanno parte dell’1% dei più ricchi d’America è aumentato di 2.217 miliardi di dollari, cioè una quantità di denaro superiore al Prodotto interno lordo italiano (che, nonostante abbia un cronico problema di scarsa crescita, resta l’ottavo Pil più grande del mondo). Grazie a questo incremento, la ricchezza complessiva di questa élite americana ha raggiunto i 44.574 miliardi di dollari, che è un nuovo massimo storico ed è pari a un po’ meno del 43% del Pil del pianeta», scrive Pietro Saccò.
I numeri arrivano dall’ultima rilevazione della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, che ha la capacità di raccogliere rapidamente i dati sull’andamento dell’economia nazionale e globale. Dati principalmente Usa, ma si può supporre che in Europa, e anche in Italia, le cose non stiano andando molto diversamente. Perché il principale fattore dietro l’incredibile crescita della ricchezza dei più ricchi d’America è l’espansione dei mercati azionari, che è comune a tutto il mondo.
Negli Stati Uniti durante il 2023 il Dow Jones, il principale indice di Wall Street, è cresciuto del 24% mentre l’indice tecnologico Nasdaq ha guadagnato il 55%. Quando la Borsa cresce, la ‘fetta largamente maggiore’ dei guadagni va ai più ricchi. Sono ancora i dati della Fed a indicare che la quota di azioni e fondi comuni detenuta dall’1% più ricco d’America è di quasi il 20%.
Il risultato è che la diseguaglianza nei patrimoni della popolazione americana, la prima economia del pianeta, continua ad aumentare. Ma non soltanto in America. Rispetto all’inizio della pandemia del Covid – cioè al primo trimestre del 2020, quando le Borse erano precipitate nel panico – la ricchezza netta di questo 1% dei ricchissimi è cresciuta di circa 14.300 miliardi di dollari, poco meno del 50%.
Parliamo di 1,32 milioni di famiglie che hanno un patrimonio medio di 33,8 milioni di dollari. All’interno di questo gruppo ci sono i supermiliardari, lo 0,1% più ricco d’America, 133.364 famiglie che dispongono di un patrimonio complessivo di quasi 20mila miliardi (fanno circa 150 milioni a famiglia) e che hanno accumulato un po’ meno di mille miliardi in più solo negli ultimi tre mesi dell’anno.
Per la metà più povera della popolazione americana, 65,8 milioni di famiglie che hanno un patrimonio netto inferiore alla media nazionale, le cose sono andate un po’ diversamente. Intanto hanno una ricchezza complessiva di ‘soli’ 3.657 miliardi di dollari (meno di un decimo rispetto all’1% più ricco, che sono circa 56mila dollari a testa) e nel 2023 dei mercati ruggenti l’hanno vista aumentare di appena 200 miliardi.
Mentre è in crisi la fascia delle famiglie con patrimoni medio alti, quella che si colloca tra il 50 e il 90% delle famiglie più ricche d’America, all’inizio del millennio controllava il 35% della ricchezza totale, mentre ora è scesa verso il 30%. Da anni il patrimonio complessivo di questa fascia della popolazione, la classe medio-ricca, è più o meno in linea con quello dell’1% dei più ricchi. Solo che parliamo di 52,9 milioni di famiglie ‘upper middle class’ contro i 32 milioni del ‘Top 1%’.
Nella parte più povera della popolazione ci sono le comunità afro-americane, con patrimoni medi pari al 24% di quelle delle famiglie dei bianchi, e quelle ispaniche, messe ancora peggio con una ricchezza media pari al 19% di quella dei bianchi. A livello generazionale, invece, i giovani americani sono piuttosto ricchi: i ‘millennials’ e la ‘generazione Z’, a 33-34 anni hanno in media 1,21 dollari per ogni dollaro di patrimonio che avevano alla loro età i ‘baby boomers’, cioè nati tra gli anni Quaranta e i Sessanta.
La Fed riconosce che quello delle diseguaglianze è un problema sempre più serio. Nel 2021 s’era inventata l’Istituto per l’equità economica, chiamato a esaminare la situazione della disuguaglianza nel Paese, identificare problemi specifici, indicare possibili soluzioni.
«La ricerca suggerisce che disparità economiche persistenti limitano la capacità dell’economia di crescere nel suo pieno potenziale – ha ricordato l’Istituto in una delle sue ultime analisi, pubblicata a fine febbraio –. Comprendere e rimuovere gli ostacoli a risultati occupazionali più equi può favorire un’economia più resiliente e dinamica». I numeri dicono che evidentemente c’è ancora molto da lavorare.