Turchia ad alto rischio, ancora il nazionalismo imperiale di Erdogan

Domani Recep Tayyip Erdoğan quasi certamente verrà confermato alla guida della Repubblica di Turchia. L’appoggio al presidente turco dal terzo incomodo Sinan Oğan sembra aver chiuso definitivamente la partita. Ma già nelle legislative del 14 maggio c’era stato l’exploit delle formazioni nazionaliste. Cosa rappresenterà tutto questo per la Turchia e per il mondo attorno. L’Europa, il Medio Oriente, la Nato e l’area post ottomana? Prova a rispondere Piero Orteca, che non ci rassicura.

Erdogan vincente, Lira a picco, quasi al ‘si salvi chi può’

Nazionalismo vincente, Erdogan imperiale, ma non è detto che vinceranno i turchi e la Turchia. L’economia turca è in ginocchio e le proteste potrebbero cominciare assieme a i festeggiamenti del vincitori e suoi tifosi. Erdogan sa di avere costretto la sua Banca centrale a fare una politica monetaria squinternata, con l’inflazione arrivata fino all’85% e i tassi che, invece di alzarsi, si abbassavano. Così facendo ha falcidiato i risparmi di un’intera generazione. E ora c’è la corsa a salvare il salvabile. Così, mentre salivano vertiginosamente gli ‘anticipi di liquidità’ sulle carte di credito, il governo ha bloccato tutto. Mettendo un limite ai prelievi. Tutto questo, ha spiegato il vicepremier Fuat Oktay, «per impedire il vezzo di nascondere i soldi dentro il cuscino». Bloccare l’emorragia di contante in lire turche, che la gente utilizza per comprare dollari oppure oro. E stiparli da qualche parte, ma certo non nelle banche.

Sull’orlo del fallimento

Le finanze della Turchia sono sull’orlo del default e l’Istituto centrale non ha più risorse per sostenere la lira, che è in caduta libera. Nominalmente le riserve valutarie sono ridotte al lumicino (2,3 miliardi di dollari). In senso sostanziale, va anche peggio, perché calcolando i premi assicurativi sui titoli depositati, la Bank of Turkey va sotto per 58 miliardi di dollari.

Sussulti elettorali sintomi della malattia grave

Solo per completezza di informazione, la possibile sorpresa che si annida nelle pieghe dei nuovi sondaggi. Secondo l’ultimissima rilevazione ‘Al Monitor-Premise’, Erdogan-Kilicdaroglu, in questo momento, starebbero 40% a 39%, con un’ampia fascia (15%) di indecisi. Nonostante il sostegno di Ogan, dunque, e le polemiche all’interno dello schieramento curdo, per la presenza di elementi ultranazionalisti nel blocco di opposizione, i giochi sarebbero ancora aperti. Lo fa pensare un altro ‘poll’ (sempre di Al-Monitor) nel quale un significativo 14% degli intervistati ha dichiarato «che non voterà per lo stesso candidato che aveva scelto al primo turno». Il problema, nel ricalcolo delle aspettative elettorali, è anche di stabilire quanto peserà l’acuirsi della crisi finanziaria, che sta ormai assumendo allarmanti dimensioni sociali.

Emergenza economia, i rifugiati, e democrazia a scendere

Economia e crisi sociale. Per il 71% dei turchi è questo il primo problema da risolvere, mentre, in successione, spunta il nodo scottante dei rifugiati siriani. Praticamente, nessuno li vuole più. Ma mentre Erdogan, da vero animale politico, sa di avere un’arma in mano da sfruttare sul terreno della politica internazionale, Kilicdaroglu deve dare delle risposte ‘multiple’ alla sua composita maggioranza. Dove è presente una forte componente nazionalista nella quale gli stessi curdi hanno opinioni variegate. Solo all’11%, invece, la sensibilità manifestata nei confronti di un ‘deficit del sistema giudiziario’ (eufemismo). Le ultime considerazioni vanno riservate al possibile impatto geopolitico del voto turco.

Politica internazionale tra Nato e Russia

Fino alla chiusura della campagna elettorale, Kilicdaroglu ha accusato la Russia di Putin di ‘ingerenze’, perpetuando un cliché ormai noto in Occidente, quello di Mosca che sarebbe interessata a condizionare le democrazie atlantiche. Ovviamente, Erdogan ha smentito, anche se sono noti a tutti i suoi rapporti di amicizia col Cremlino. Meglio, le sue relazioni di ‘core business’, ormai sviluppate a 360 gradi, dall’energia, alle armi di ultima generazione (i missili S-400), al ruolo di hub trasportistico della Turchia, che serve come ‘partner di comodo’ a mezza Europa, per scavalcare le sanzioni contro la Russia. Così Ankara, nel 2022, ha aumentato le sue esportazioni in direzione Mosca del 42%. Da tutto il mondo arrivano container, che vengono scaricati nei porti di Mersin, Istanbul e Izmir; per poi essere velocemente ricaricati e trasportati nello scalo russo di Novorossijsk.

A Bruxelles lo sanno e a Washington pure, ma fanno finta di niente, perché comanda la geopolitica. A tal punto che Biden, notoriamente attaccabrighe, questa volta ha saputo tenere la lingua a freno e dopo le accuse rivolte all’America, il mese scorso, da Erdogan, ha detto: “Chi vince, vince e per noi è lo stesso. Abbiamo già un mare di problemi in quella parte del mondo”. E non ne cercano altri.

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