Quel gas bruciato nel cielo di Finlandia manda in fumo le sanzioni alla Russia?

L’immagine dalla copertina di Economist. Le sanzioni alla Russia non funzionano, sono costretti ad ammettere persino a Washington. E in Europa si sfiora il suicidio economico. Controprova, nel terminal russo di Portovaya, sul Baltico, dove Gazprom sta bruciando quattro milioni e trecentomila metri cubi di gas al giorno che non vende più all’Europa bisognosa ma nemica.
Controvalore, alle quotazioni record degli ultimi giorni, oltre i 330 euro per megwattora, attorno ai dieci milioni di euro al giorno di gas inutilizzato.

Immagini spia della beffa

Le immagini satellitari dell’istituto di ricerca norvegese Rystad Energy, mostrano le fiamme altissime che si levano dal terminal gasiero russo di Portovaya sul Baltico, lungo il confine finlandese. Non le fiamme a bruciare residui, come in ogni raffineria e impianto del genere, ma tutto il carico di gas – quattro milioni e trecentomila metri cubi di gas al giorno- già estratto e lavorato per andare altrove. In Germania e in Europa.

Portovaya fu Nord Stream

Portovaya è un stazione decisiva nella mappa russa dell’energia per il gasdotto Nord Stream. Il combustibile che si consuma in un incendio controllato doveva raggiungere il terminal di Greifswald, in Germania. Ma il il gasdotto Nord Stream fa parte da mesi del confronto tra il Cremlino e i governi europei. La risposta del Cremlino alle sanzioni europee per l’invasione dell’Ucraina. «Una guerra ibrida che costringe i leader dei 27 ad una riunione d’urgenza per misure contro i rincari delle bollette e allontanare l’abisso della recessione», scrive allarmata l’Ansa.

Guerra ibrida ma feroce

Europa in forte ritardo visto c he Gazprom aveva già ridotto in modo graduale le forniture ai paesi ‘ostili’. A partire dal 31 agosto chiuderà il rubinetto per tre giorni, ufficialmente per lavori di manutenzione.«E anche da questo dipende la decisione tecnica di eliminare attraverso combustione il gas in eccesso», segnala Luigi De Biase sul Manifesto. Perché, i russi decidono di mandare in fumo, in senso letterale, dieci milioni di euro al giorno in un momento di estrema difficoltà dal punto di vista finanziario? Perché nei loro calcoli il danno inflitto ai rivali è più grande di quello che subirà il loro bilancio.

Rampini l’americano

«Putin lo fa non perché se lo può permettere, ma perché non può farne a meno: il suo ricatto energetico contro l’Europa comincia a mostrare la corda», la lettura degli stessi fatti di Federico Rampini sul Corriere della Sera. Il gas invenduto va distrutto, con grave danno per le finanze di Mosca, al fine di evitare danni ai giacimenti, agli impianti, alla rete distributiva. La tesi di due esperti americani del settore energetico della Hoover Institution (Stanford) e Ramanan Krishnamoorti dell’università di Houston, Texas. Un’analisi pubblicata ieri sul Wall Street Journal.

Sanzioni dispari Stati Uniti-Europa

Altra lettura dei fatti, il team economico del Cremlino avrebbe trovato il sistema di affrontare le sanzioni e le altre misure stabilite dall’Europa e dagli Stati Uniti, in particolare in tema di materie prime che esaltano la differenze economiche e di risorse tra i due alleati . E anche il britannico Economist, messo da parte certo fervore bellicista, chiede: “Le sanzioni alla Russia stanno funzionando?”. Sempre secondo l’Economist, il risultato è al di sotto delle aspettative, e forse, “ma fra tre-cinque anni le sanzioni occidentali provocheranno il caos in Russia”.

Il tempo non lungo da qui al caos

Una guerra infinta in attesa di cosa? Quale sistema economico ne sociale crolla per primo, e a quale prezzo? «Lo scopo delle sanzioni era duplice. Generare nel breve periodo una crisi di liquidità che fermasse l’invasione russa e danneggiare nel medio termine la capacità produttiva del paese per rendere meno probabile l’ipotesi di altre sortite», la sintesi di Luigi De Biase. Oggi, anche per una lettura filo americana spinta, il primo obiettivo le sanzioni è stato mancato. E diventa molto difficile pensare a cosa ne sarebbe dell’Ucraina dopo tre, quattro o cinque anni di guerra. Europa compresa.

Sanzioni o tradimento?

Dopo sei mesi di guerra e di fronte alla peggiore crisi di approvvigionamento, non solo di energia, che l’Unione ha mai affrontato, aprire una verifica su modi e contenuti delle sanzioni dovrebbe essere un atto di buon senso e non di tradimento, la considerazione che tra facendosi strada in parte dell’Europa. Assieme l’impressione che la Russia abbia superato i primi sei mesi di sanzioni senza troppa fatica. Con le materie prime che l’Europa ha messo al bando vendute a buon prezzo a quel pezzo di mondo che non è obbediente alla indicazioni occidentali.

Sanzioni morali o economiche

Imporre sanzioni alla Russia, rappresenta un obbligo sul piano morale, sostiene De Biase. Da sole, però, queste misure non sembrano in grado di favorire un rapida fine del conflitto. Anzi. Nel caso in cui dovessero contribuire all’instabilità economica e politica dei paesi che quella sanzioni le hanno approvate –esattamente ciò che sta accadendo-, il risultato rischierebbe di essere, paradossalmente e pericolosamente, l’opposto.

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