Il 24 maggio 1915 il regno d’Italia dichiarò guerra all’impero d’Austria. Il piano era di puntare su Trieste e addirittura su Lubiana, come immaginava ottimisticamente lo stato maggiore, ma sappiamo che le cose presero una piega diversa. Mentre sull’Isonzo e sulla pietraia del Carso si combattevano furibonde battaglie, il resto del fronte correva sull’arco alpino – circa i due terzi dell’estensione complessiva – e sembrava fermo, anche se la realtà era ben diversa.
A cominciare dall’autunno si manifestarono grandi difficoltà soprattutto nei rifornimenti: mantenere una posizione a duemila metri significava che per i trasporti era necessario un numero di soldati pari almeno a quelli in trincea e poi c’era la neve a rendere impercorribili sentieri e mulattiere. Dove era possibile si fece ricorso alla tecnica e furono costruite teleferiche che dal fondo valle trasportavano i carichi più pesanti, ma sull’Adamello, uno dei punti di maggior altitudine del fronte mediamente sui tremila metri, si ricorse anche alle slitte trainate dai cani, come negli ambienti polari.
Quando anche i mezzi meccanici o il trasporto animale erano insufficienti, si faceva ricorso agli uomini: colonne di centinaia di soldati risalivano per ore le vallate portando sulle spalle carichi inimmaginabili, ma erano esposte per di più al pericolo delle valanghe. Particolarmente drammatico fu l’inverno tra il 1915 e il 1916, caratterizzato tra l’altro da basse temperature e precipitazioni notevoli: quando in primavera nella zona delle Dolomiti, soprattutto per il rialzo delle temperature, si verificarono moltissime valanghe, il numero delle vittime superò quello dei caduti in combattimento. E di inverni di guerra ne seguirono …
Nei manuali militari dell’ante-guerra le paludi del Pripjet e i monti Carpazi erano considerati talmente inospitali e impraticabili che mai vi sarebbero state condotte operazioni belliche, ma avvenne esattamente il contrario. Le paludi del Pripjet in Volinia (estese pressappoco come una regione italiana e che si trovano grossomodo oggi nell’Ucraina occidentale) erano una zona acquitrinosa in cui l’esercito russo e austriaco rimasero letteralmente impantanati per lunghi mesi, mentre sui monti Carpazi si combatté aspramente dal gennaio all’aprile 1915 in condizioni assai peggiori che sulle Alpi.
I russi tentarono più volte di attraversare la catena montuosa per raggiungere la pianura ungherese, ma persino unità composte da siberiani ebbero difficoltà per il freddo e l’ambiente desolato. Le temperature medie invernali si aggiravano normalmente intorno a meno venti gradi con picchi a volte superiori e, poiché mancavano strade e sentieri, i rifornimenti furono ancora più difficoltosi. Si trattava inoltre di zone prive di centri abitati e di risorse idonee a sostenere un esercito per cui, da ambo le parti, si ebbero migliaia di casi di diserzione, quando non avvenne che anche reparti interi si sbandarono completamente.
Secondo fonti austriache le perdite del primo inverno di guerra solo in quella parte del fronte orientale costarono all’imperiale e regio esercito circa ottocentomila uomini, compresa la caduta della piazzaforte di Przemysl (oggi in Polonia, vicina ai confini con l’Ucraina); ancora più alto il bilancio russo che – a seconda delle stime – varia tra un milione e un milione e duecentomila. L’impero austriaco subì sui Carpazi una sconfitta dalla quale non si sarebbe più ripreso.
Poco nota tra le pagine di storia della Grande guerra fu la guerra combattuta tra russi e turchi sul Caucaso. Il primo novembre 1914 truppe russe attraversarono il confine con l’impero ottomano e anche questa volta il piano sembrava ben congegnato: una parte delle forze russe, appoggiate dalla flotta del mar Nero, attaccò dalla costa e una parte dalle montagne. I turchi si trovarono ben presto in difficoltà, ma i russi mostrarono in seguito una ‘disorganizzazione esemplare’. Per tutta la campagna esercitarono pressioni sui turchi, senza avere mai però il sopravvento.
Nel febbraio 1917, dopo tre inverni tra le montagne, la spinta russa – a causa della rivoluzione di febbraio – progressivamente si arenò. In altre parole fu una guerra d’attrito, simile a quella che si combatteva in occidente, anche se in questo caso il teatro furono le alte montagne del Caucaso coperte di neve. Le difficoltà furono quelle consuete di questo tipo di guerra: i rigori del clima non permisero grandi operazioni e, durante le tregue estive, ambedue i contendenti erano troppo deboli per tentarle.
I turchi tuttavia subirono le perdite maggiori soprattutto per mancanza di rifornimenti: basti pensare che, all’inizio della campagna, la razione giornaliera di un soldato turco comprendeva un chilo scarso di pane che dal gennaio 1916 divennero 100 grammi di farina. Dalle potenze alleate, ovvero dalla Germania, dalla Bulgaria e dall’Austria-Ungheria, i turchi non ricevettero nemmeno aiuti consistenti, quanto buoni consigli: tedeschi ed austriaci, ad esempio, organizzarono dei corsi per insegnare a sciare alle truppe del sultano.