Nella Repubblica Popolare Cinese, come ogni anno, ‘Lianghui’, le ‘due sessioni’: Conferenza consultiva del popolo cinese e l’Assemblea nazionale del popolo. In questi giorni a Pechino, nella Grande sala del popolo, 3000 dirigenti del Partito comunista e circa 2000 tecnocrati, intellettuali e imprenditori.
Per quanto importante per capire ciò che bolle in pentola nel grande Paese asiatico, il Lianghui ha solo potere consultivo, poiché è chiamato soltanto a ratificare decisioni e linee strategiche già varate dai vertici del Partito, e in particolare dal Politburo. Dopo il trionfo di Xi Jinping nell’ultimo congresso, si è accentuata la prevalenza dell’ideologia su ogni altro aspetto della vita politica e sociale.
In realtà i due organismi riflettono il totale dominio che il Partito comunista esercita sulla società del grande Paese asiatico. Dominio che non è mai venuto meno, neanche dopo le riforme economiche introdotte da Deng Xiaoping a partire dai tardi anni ’70 del secolo scorso. Quest’anno, tuttavia, lo scenario è diverso rispetto al passato.
Gli investimenti stranieri sono calati a 33 miliardi di dollari, il livello più basso dal 1993, e molte aziende preferiscono investire in altre nazioni, in particolare in Vietnam e nell’India di Narendra Modi. Inoltre il Pil, che aveva conosciuto una crescita costante negli ultimi decenni, ora arranca ben dal 5% annuo fissato dal gruppo dirigente del Partito.
In realtà l’economia del Dragone è impegnata in una difficile transizione, che prevede il rafforzamento a lungo termine della domanda interna, e una minore dipendenza dall’export, settore sul quale la Cina ha costruito il suo successo sino a diventare la seconda potenza mondiale.
Si parla, per esempio, di “innovazione autoctona”, e della necessità di fabbricare prodotti – come le auto elettriche – ad alto valore aggiunto, destinati non solo all’esportazione ma anche al mercato interno. La transizione, ovviamente, è in pieno svolgimento e occorre del tempo per capire se avrà successo.
Restano piuttosto tesi i rapporti con gli Usa, anche sul piano commerciale. L’amministrazione Biden è riuscita a diminuire il deficit nei confronti della Repubblica Popolare, grazie a un calo significativo dell’importazione di prodotti ‘made in China’.
Da questo punto di vista, il Lianghui può certamente fornire indicazioni utili circa la strategia che Pechino intende adottare nel prossimo futuro.