Diventano sempre più difficili e turbolenti i rapporti tra la Federazione Russa e le Repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Dopo l’invasione dell’Ucraina, Mosca deve affrontare l’ostilità di quelli che, dopo il crollo dell’Urss, erano diventati fedeli alleati pronti a obbedire alle sue direttive.
Ora non è più così. Le suddette Repubbliche, dopo aver constatato le grandi fifficoltà dell’esercito russo in Ucraina, hanno solidarizzato, in modo più o meno velato, con quest’ultima. Facendo inoltre capire di essere pronte a cambiare alleanze vista la piega che hanno preso degli avvenimenti.
Tra tutte, spiccano i malumori di due di queste Repubblicche. La prima è l’Armenia che ha subito attacchi pesanti nel Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaigian, che gode lell’appoggio incondizionato della Turchia di Erdogan anche per ragioni di affinità etnica e linguistica.
Finora Mosca aveva sempre protetto gli armeni dalle mire dello Stato confinante, che è molto più potente a causa delle ingenti risorse energetichec di cui dispone (risorse che, invece, l’Armenia non possiede). Dopo l’attacco Erevan ha rivolto un appello disperato a Putin chiedendogli di intervenirire, Appello inascoltato per l’ovvio motivo che le truppe russe sono impegnate allo spasimo in Ucraina.
Esiste in effetti nel Nagorno Karabakh un piccolo contingente di Mosca il cui compito – teorico – è tenere separati i contendenti. Tuttavia la sua presenza si è rivelata inefficace e l’Armenia ha proposto di sostituirlo con un contingente internazionale che offra maggiori garanzie. Alle risposte evasive di Putin il premier armeno Nikol Pashinyan ha reagito caldeggiando il ririro delle truppe russe dal Nagorno Karabakh, chiedendo che il suo Paese venga tutelato a livello internazionale,
Secondo alcune fonti Mosca starebbe pensando di sostituire Pashinyan con una figura più malleabile. Senza accorgersi, tuttavia, che queate mosse poteva farle quando la sua potenza militare veniva percepita da tutti come una minaccia, e ora lo scenario è molto cambiato.
Altra Repubblica inquieta è il Kazakistan, più importante dell’Armenia a causa delle sue enormi riserve minerarie ed energetiche. Qui il nuovo presidente Qasim-Jomart Tokayev è alla ricerca costante di autonomia e non esita a criticare la Federazione Russa in modo aperto. Non ha approvato l’invasione dell’Ucraina né la richiesta d’indipendenza di Donetsk e Lugansk.
Al contrario, ha favorito l’installazione va Bucha, cittadina ucraina teatro di massacri da parte delle truppe russe, di alcune ”yurte”, le tipiche abitazioni dei nomadi kazaki. In esse vengono accolti i soldati ucraini che hanno bisogno di riposare e rifocillarsi dopo i combattimenti.
Immediata la protesta di Mosca, alla quale il Kazakistan ha risposto in modo evasivo sostenendo che si tratta di inziative private, mentre è chiaro a tutti che è un preciso segnale del governo kazako a Putin. Un fatto è comunque certo. Lo spazio post-sovietico vagheggiato dal capo del Cremlino sta svanendo proprio a causa dell’operazione in Ucraina.
Così come, per gli stessi motivi, è ormai in crisi la “Unione economica eurasiatica”, progetto di integrazione economica e commerciale tra Russia da un lato e le anzidette Repubbliche ex sovietiche dall’altro. Niente, insomma, sarà più come prima, e i russi dovranno riflettere a fondo sulla “operazione militare speciale” che ha condotto a questo disastro.