
«Gli attacchi aerei statunitensi – si legge nella nota diffusa per la stampa – hanno distrutto le strutture prese di mira e probabilmente hanno ucciso un certo numero di persone. Le vittime sono militanti Kataib Hezbollah. Si ritiene che nessun civile sia stato colpito nel corso dell’operazione». Il distinguo tra l’attenta scelta dei bersagli Usa rispetto alla bassa macelleria israeliana su Gaza. Ma intanto allarghi il campo delle ‘pluriguerre’ in corso in Medio Oriente, aiutando a capire certi inammissibili silenzi Usa su Gaza. Assieme ad altri pericolosi segnali che, negli ultimi giorni, hanno indicato un potenziale allargamento del conflitto mediorientale, mente il mondo beffato all’Onu ancora insiste a chiedere il contrario.
Segnali. Nell’ordine, vanno ricordati:
Ma è il recente ‘Patto del diavolo’, sottoscritto tra Netanyahu e Joe Biden, a inquietare gli uomini di buona volontà e gli (eventuali) statisti più saggi.
Parliamo dello scambio tra ‘aiuti umanitari a Gaza‘ e una cambiale in bianco per continuare la guerra «come, quanto e fino a quando si vuole». Perché questo è il significato più autentico della recente Risoluzione espressa, dopo mille riscritture, dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E il problema che resta è di capire se tutti sono in buona fede, perché il comportamento di un paio di protagonisti fa venire dei sospetti. C’è qualcuno, forse, che ha interesse a fare di questo conflitto un’altra guerra di logoramento? La domanda sorge spontanea, specie quando si sente un ‘falco’ come il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, dire alla Knesset che «Israele è ormai in guerra su più fronti» e specificando, uno per uno, tutti questi campi di battaglia: Gaza, Siria, Libano, Giudea e Samaria (la Cisgiordania a geografia biblico ebraica), Irak, Yemen e, ovviamente, Iran. Il Ministro ha aggiunto che, in sei di questi fronti, Israele è già intervenuto. Lasciando la porta aperta al settimo ‘contrattacco’, quello di un Armageddon finale.
L’Iran? Beh, tutto è possibile, specie se chi si occupa di Medio Oriente conosce anche biografie e orientamenti dei protagonisti. Dunque, Yoav Gallant è uno che va giù per le spicce e quando si mette in testa un’idea è difficile fargliela levare. Ha messo in croce per mesi e mesi un energumeno come Netanyahu, che non è certo un fulgido esempio di prudenza. Perché? Semplice. Voleva scatenare una guerra preventiva in Libano, contro Hezbollah, e chiudere i conti senza fare troppe trattative. Tra lui e Gadi Eisenkott, un altro supergenerale messo a fare da badante a Netanyahu, non sappiamo veramente come l’Israele di oggi riesca a immaginare un futuro senza elmetto, per i suoi cittadini.
D’altro canto, vista la conformazione stessa del campo di battaglia attuale, il dedalo di case, vie e viuzze ormai ridotte a rovine fumanti di calcinacci, la paura di tutti è che l’atto finale di questa guerra possa essere la ‘sterilizzazione’ di Gaza, la sua desertificazione e lo spostamento dei sopravvissuti da qualche altra parte. Nessun raffinato stratega, in una situazione di questo tipo, azzarderebbe previsioni.
L’unica l’ha fatta ieri il Capo di Stato maggiore israeliano, Herzl Halevi, confessando che la guerra a suo giudizio «dovrebbe continuare per molti altri mesi». Non bisogna essere bravi in matematica per prevedere, col tasso di uccisioni attuali, quanti palestinesi resteranno, alla fine, dentro Gaza.