Netanyahu attacca Rafah, libera due ostaggi ma rompe con Biden

Un blitz accompagnato da massicci bombardamenti su Rafah, due ostaggi liberati, tre quelli probabilmente uccisi nell’operazione, assieme ad una quantità imprecisata di palestinesi in fuga, ma quelli per alcuni non contano. La testimonianza dalla Striscia. Durante il blitz per la liberazione dei due ostaggi, l’esercito ha attaccato dall’aria e poi da terra, coi carri armati, mentre le forze speciali israeliane entravano sotto copertura. Netanyahu può celebrare la liberazione di due ostaggi, ma questa volta forse ha rotto definitivamente con l’amministrazione Biden, beffata con impudente arroganza. Mentre l’Egitto minaccia.

A Palestinian woman walks past the destruction from the Israeli bombardment of the Gaza Strip in Rafah on Monday,

Israele gioisce preoccupata

La liberazione due ostaggi proposta come una diretta vittoria della intransigenza governativa, linea Natanyah-Galanti, e sul resto quasi tutti sorvolano. Le altre vita, anche israeliane, perse nell’azzardo militare, che era certo mirato, sapevano dove cercare e colpire, ma facendo il vuoto attorno con tutto quanto di infernale l’apparo militare ha a disposizione, devastando un altro frammento di Striscia. I commando sono stati descritti come eroi, racconta Michele Giorgio sul Manifesto.

Ed è già doppia guerra elettorale

In Israele
Per il premier Netanyahu il successo dell’operazione militare rappresenta un successo da spendere all’interno di Israele ribadendo la presunta validità della sua strategia: riportare a casa gli ostaggi usando la forza e non la trattativa. Rivalsa anche contro l’amministrazione Biden che insisteva con il No all’offensiva a Rafah senza protezione per i civili.

Negli Stati Uniti
Con Biden che, se non si spegne la miccia mediorientale, mette a rischio la rielezione, specie se la crescente rabbia dell’elettorato arabo e islamico trova sostegno nella comunità African American, dove la causa di Gaza è sentita e condivisa. Joe Biden troppo disponibile in miliardi e armamento micidiali,

ma che ora, in privato, rivela la Nbc news, in almeno tre occasioni l’ha chiamato l’israeliano, «asshole», «stronzo» in italiano, perché non ascolta nessuno.

Rischio rottura anche con l’Egitto

Rafah, confine egiziano sul Sinai. Israele abituato a farla da padrone, rischia di esagerare. E la autorità egiziane hanno minacciato di rompere qualsiasi accordo se Israele occuperà il ‘Corridoio di Filadelfia’, la stretta striscia di terra che corre lungo il confine di Gaza con l’Egitto. Il Cairo potrebbe stracciare il trattato anche solo se Israele spingesse oltre l’attuale misura l’offensiva su Rafah, perché sul ‘corridoio’ si ammasserebbero centinaia di migliaia di migliaia di profughi che a quel punto potrebbero tentare il tutto per tutto pur di sfondare il posto doganale egiziano e mettersi al riparo dagli scontri.

A Rafah, ormai senza vie di fuga

Israele intanto insiste nel voler spostare i profughi in una «area ristretta». Una vera e propria galera a cielo aperto, con l’aggiunta delle beffa di quale paradiso diventerà la nuova Gaza ebraica. «Mentre raccoglieva l’applauso della folla, il ministro israeliano per la Sicurezza Ben-Gvir con il consueto tono messianico mostrava il suo piano per Gaza: colonie israeliane vista mare, tanto verde intorno, e soprattutto residenti palestinesi fuori dai piedi», racconta Nello Scavo su Avvenire. «Un’ipotesi che dovrebbe vedersela anche con il rischio di finire a processo davanti alla Corte penale internazionale. Dall’Aja fonti vicine al procuratore capo capo Karim Khan, ieri hanno confermato che l’ufficio investigativo ‘è profondamente preoccupato per i bombardamenti e la potenziale incursione via terra delle forze armate israeliane’».

Tendopoli false per 2 milioni di disperati

Intento Israele insiste nel voler imporre il trasferimento dei profughi in un’area ristretta di Rafah, di cui garantisce l’esclusione dal conflitto. E per farlo ha mostrato dal profilo ‘X’ ufficiale del governo (ex Twitter) una foto che mostra i lavori in corso per attrezzare i campi profughi, spiegando che vengono inviate 23mila tonnellate di tende e 140mila tonnellate di cibo.

L’immagine dei lavori in corso è però un falso. Si tratta infatti della messa in opera, nel 2022, del campo per i profughi ucraini a Palanca, in Moldavia.

Palestinesi sulla luna

Gli appelli internazionali contro l’invasione israeliana di Rafah. Lunedì c’ha riprovato il presidente degli Stati Uniti. «Una grande operazione militare a Rafah non dovrebbe essere effettuata senza un piano credibile per garantire la sicurezza dei tanti civili palestinesi sfollati che sono rifugiati in città», ha detto Biden. A Rafah si è rifugiata su spinta di Israele più di metà della popolazione di tutta la Striscia di Gaza, circa 1,4 milioni di palestinesi.

Pulizia etnica selvaggia

Israele vorrebbe che i palestinesi, fuggiti da ogni parte della Striscia di Gaza, lasciassero anche Rafah, ma non è chiaro verso quale direzione dovrebbero spostarsi. Rafah confina a sud con l’Egitto, a ovest con il mar Mediterraneo, a est con Israele e a nord con il resto della Striscia, per lo più distrutto, non considerato sicuro e attualmente occupato dall’esercito israeliano. Rispondendo alla dichiarazione di Netanyahu secondo cui prima dell’invasione i profughi palestinesi dovrebbero essere evacuati dall’area di Rafah, Josep Borrell, esteri dell’Unione Europea aveva detto: «Dove? Sulla Luna?».

Tanti amici a perdere

Pechino: ‘Fermate l’operazione militare il prima possibile‘. Anche la Russia vede ‘in modo estremamente negativo’ un’operazione militare israeliana nella città di Rafah: a dirlo il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov ripreso dalla Tass.  Tra i principali politici occidentali che hanno espresso dubbi per un’invasione di Rafah c’è stato anche l’ex primo ministro britannico David Cameron, oggi ministro degli Esteri del governo di Rishi Sunak. Penny Wong, ministra degli Esteri australiana, e la sua omologa tedesca Annalena Baerbock. Lunedì inoltre Volker Türk, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha detto che «il mondo non deve permettere che ciò accada».

 

 

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