Dal mondo arabo all’Occidente, su Gaza tante parole e pochi fatti

I leader arabi e musulmani hanno condannato le ‘azioni barbare’ delle forze israeliane a Gaza, ma non sono riusciti a trovare e approvare misure economiche e politiche punitive per cercare di fermare i massicci bombardamenti della Striscia e, soprattutto per bloccare quello che appare sempre di più come un’operazione militare che oltre a eliminare leader e militanti dell’organizzazione islamica estremista punta a creare un nuovo assetto del territorio.

‘Parole, parole, parole, soltanto parole’

«Parole, parole, parole, soltanto parole», un ritornello che passa dal mondo islamico a quello europeo, dagli Stati Uniti alla Russia. Nessuno sa come fermare la guerra, nessuno sa cosa fare con il popolo palestinese. Dopo settanta e passa anni, uno degli aspetti del problema è lo stesso. Nella pratica, per i leader dei paesi arabi, impegnati quasi ovunque a soffocare il pericoloso dissenso interno, il problema palestinese non è mai esistito e non esiste nemmeno oggi. E ciò vale anche per buona parte del mondo islamico. È cambiato anche il rapporto di questi paesi con Israele diventato, negli anni, economicamente e spesso militarmente legati al governo e all’industria bellica israeliani.

Tutto, purché la guerra non si allarghi

Nessuno è interessato – e questo è positivo – all’allargamento del conflitto. Il popolo israeliano è in stato di choc e il suo attuale governo, una estrema destra spesso messianica e pericolosa, è pronto a usare della sua superiorità militare per schiacciare quelle forze arabe che potrebbero schierarsi con il popolo palestinese. Da Tel Aviv nuove minacce al Libano mentre Hezbollah continua a lanciare attacchi contro il nord di Israele. Morti e feriti nuovi. Abitanti di villaggi israeliani costretti a chiudersi nei rifugi. «Se dovessero continuare le provocazioni», Israele è pronta a colpire a fondo il movimento sciita vicina all’Iran. E, minaccia il ministro della difesa di Tel Aviv, trasformare Beirut, il Libano, in un’altra Gaza.

Risoluzioni Onu sistematicamente beffate

La parte araba ha respinto le affermazioni israeliane secondo cui sta agendo in ‘autodifesa’ e ha chiesto che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottasse «una risoluzione decisiva e vincolante per fermare l’aggressione di Israele». Parole. Israele poche volte da quanto esiste come stato ha rispettato una risoluzione dell’Onu e fino a quando gli Stati Uniti, per voce del suo presidente Biden, continua a sostenere Netanyahu e il suo governo di destra lanciando al massimo messaggi di preoccupazione per il numero dei morti palestinesi – uomini, donne e bambini – che cresce, la guerra andrà avanti. E potrebbe estendersi non solo al Libano ma anche alla Cisgiordania dove le truppe israeliane e i coloni messianici sono sempre più attivi contro la maggioranza palestinese.

West Bank pronta ad esplodere

È un settore, la West Bank, sotto gli occhi di tutti. Netanyahu fa capire che Israele intende mantenere il controllo militare su Gaza per un periodo indefinito. Esponenti del suo governo dicono che vedrebbero di buon occhio nuovi insediamenti, colonie ebraiche, al posto dei villaggi, campi profughi e città palestinesi nella striscia. La parola pulizia etnica non è stata pronunciata finora ma attori e osservatori nel conflitto pensano a una nuova Nakba, l’olocausto dei palestinesi, e alla possibile cacciata dell’intera popolazione araba della Cisgiordania (oltre a quella di Gaza) dal territorio che per molti israeliani è considerata «la terra promessa».

Netanyahu cerca di tranquillizzare la comunità internazionale ma fin dall’inizio dei bombardamenti ha fatto capire che per la popolazione di Gaza, il Sinai egiziano potrebbe essere un luogo sicuro. Per i coloni israeliani messianici della Cisgiordania, il futuro dei palestinesi è segnato: devono andarsene. Dove? In Giordania.

Parole vane dell’Unione europea

Lunedì, altre parole, parole, parole. Questa volta dai ministri degli Esteri dell’Unione europea. Hanno deplorato il peggioramento della situazione e chiedono «pause immediate e corridoi umanitari per affrontare la terribile situazione del popolo a Gaza». «I pazienti negli [ospedali di Gaza] di terapia intensiva non hanno alcuna possibilità. Non c’è ossigeno, non c’è acqua, non ci sono medicine, quindi queste persone moriranno», ha detto il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn prima dell’occupazione militare diretta degli ospedali di questa notte. Domenica scorsa gli stati dell’UE avevano ripetuto la loro condanna «all’uso di civili come scudi umani da parte di Hamas».

La Finlandia Nato che fu neutrale

Tra un bombardamento e l’altro, tra i missili che vanno e vengono, in mezzo ai comunicati che si rincorrono, altre parole dal ministero della difesa israeliano vorrebbero essere positive. «Storico accordo firmato per l’acquisizione del sistema ‘David’s Sling’ da parte della Finlandia».

«Il David’s Sling è uno dei sistemi leader a livello mondiale per l’intercettazione di minacce avanzate, tra cui missili balistici, missili da crociera, aerei e droni. Il sistema ha dimostrato capacità ad alte prestazioni nella guerra in corso in una serie di scenari impegnativi». L’accordo, specifica il ministero, vale circa 317 milioni di euro.
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