Le vittorie di Pirro

‘Vittoria di Pirro’ è una battaglia vinta a un prezzo troppo alto per il vincitore, tanto da far sì che la stessa scelta di scendere in battaglia, nonostante l’esito vittorioso, conduca alla sconfitta finale. Associato a una battaglia militare, il termine vale per descrivere un successo inutile o effimero, dove il vincitore formale ne esce sostanzialmente male o senza vantaggi che giustifichino lo sforzo. Dietro un’espressione di uso comune c’è una lunga storia che non si limita solamente a una battaglia in se, ma a un modo di condurre una guerra o una politica.

L’indomabile re dell’Epiro

Prima di combattere in Italia, ovvero in Puglia e Sicilia, Pirro si era già scontrato duramente con Demetrio, re di Macedonia: nonostante le sue indubbie capacità militari e organizzative, Pirro però fu sconfitto e il suo dominio sospinto verso la costa adriatica. Poiché tuttavia continuava a godere di buona fama come soldato, i Tarantini decisero di ricorrere a lui per un sostegno militare contro i Romani che si stavano espandendo verso sud: Pirro, dopo aver radunato un discreto esercito di mercenari che comprendeva anche i famosi elefanti asiatici, attraversò l’Adriatico e si scontrò per la prima volta con i Romani ad Eraclea (280 a.C.).
L’esito fu vittorioso anche perché per la prima volta i Romani – abituati alle tattiche rigide e frontali della legione o della falange macedone – subirono un aggiramento sul fianco da parte delle truppe appoggiate dagli elefanti. Nonostante la sconfitta, o meglio la rapida ritirata, i Romani però si riorganizzarono presto e l’anno successivo (279 a. C.) affrontarono nuovamente il re dell’Epiro nella battaglia di Ascoli Satriano. Anche questa volta Pirro ebbe la meglio e i Romani si ritirarono, sia pure meno precipitosamente che ad Eraclea, ma il numero delle perdite da ambo le parti fu altissimo.
Pirro non poteva più ottenere rinforzi e, quando uno dei suoi comandanti venne a congratularsi per il successo, pronunciò la storica frase ricordata da Plutarco: «Se riporteremo ancora una sola vittoria sui Romani, saremo completamente rovinati». Pirro, ormai senza soldati, raggiunse la Sicilia dove prese il comando degli eserciti delle colonie greche in lotta contro i Cartaginesi: il suo atteggiamento audace e autoritario lo portò a gravi contrasti con gli alleati e al suo rientro in Italia fu definitivamente sconfitto dai Romani nel 275 a.C.

Vittorie di Pirro sparse tra i secoli

Nel 1389 in Kosovo si combatté nella piana dei Merli una durissima battaglia tra l’esercito del sultano Murad I e i principi cristiani di Serbia e Bosnia. Fu un’autentica ecatombe e il sultano stesso morì in battaglia: fu aperta così la via alla conquista dei Balcani, ma l’impero indebolito impiegò decenni prima di compierla.
Nel 1495 a Fornovo, nei pressi di Parma, una coalizione di principi italiani affrontò l’esercito dl re di Francia Carlo VIII. Dopo una mischia sanguinosa e dopo atti di autentica barbarie quali l’uccisione di feriti e prigionieri, i francesi furono costretti alla ritirata, ma i piccoli stati italiani ne uscirono indeboliti e divisi. Come annotò Francesco Guicciardini era cambiata la natura della guerra e in una sola sanguinosa giornata si poteva perdere tutto: cominciarono infatti altre guerre nelle quali l’Italia divenne un campo di battaglia tra potenze europee senza riuscire ad esprimere una propria leadership.
Nelle guerre napoleoniche le vittorie di Pirro più note furono le battaglie di Eylau (1807) e di Borodino (1812). Ad Eylau, in Prussia orientale, dopo quattordici ore di combattimenti furiosi, i russi si ritirarono nel timore dell’arrivo di rinforzi francesi: eloquente il commento del maresciallo Ney «Quel massacre! Et sans resultat!».
A Borodino la Grande Armata affrontò un potente esercito russo: indubbiamente i francesi conseguirono un successo, ma non riuscirono a distruggere tutto l’esercito avversario. Kutuzov si ritirò verso Mosca incalzato dai francesi, ma la successiva occupazione di Mosca non significò affatto la vittoria francese nella campagna.
La vera vittoria russa fu conquistata invece più di un secolo dopo: dalle pagine del romanzo di Tolstoi “Guerra e pace” dedicate alla battaglia nacque il mito della difesa della Santa Madre Russia e da qui alla Guerra Patriottica dopo l’attacco nazista all’Unione sovietica il passo fu breve.

La Prima Guerra mondiale

Uno degli aspetti sorprendenti della Prima Guerra mondiale fu proprio l’alto numero di vittorie di Pirro che si susseguirono tra il 1914 e il 1918, a cominciare dal fatto che la stessa vittoria inglese sulla Germania nel 1918 fu ottenuta tanto faticosamente e con tali sforzi da pregiudicare la stessa solidità dell’impero britannico. Tra le tante, due grandi battaglie hanno maggiormente concentrato l’attenzione e si svolsero entrambe sul fronte occidentale: Verdun e la Somme.
Dal febbraio 1916 a dicembre intorno a Verdun si combatterono tra loro francesi e tedeschi con un bilancio di perdite spaventoso: nonostante sia trascorso più di un secolo le stime sono ancora indefinite e diverse, ma è ragionevole pensare che il totale dei morti da entrambe le parti sia stato abbondantemente superiore al mezzo milione e i feriti almeno ottocentomila, tra i quali decine di migliaia di intossicati dai gas asfissianti. Verdun non era un obiettivo strategico, ma i tedeschi intendevano ‘dissanguare’ lentamente l’esercito francese e impedirne altre operazioni offensive.
Qualcosa di analogo avvenne sulla Somme tra inglesi e tedeschi da luglio a novembre dello stesso anno: altrettanto terrificante il numero dei caduti di poco superiore a quello di Verdun. Eppure si parlò di vittoria strategica perché, anche senza aver conseguito rimarchevoli conquiste territoriali, l’esercito tedesco era stato comunque ‘inchiodato’ sulle sue linee.

Non si trattava più di considerare una singola battaglia come episodio degno di Pirro, ma l’intera macchina bellica stava conducendo una guerra con costi superiori alle conquiste mentre la propaganda esaltava grandi vittorie.

 

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