
Teheran si sta rivelando una vera spina nel fianco nei confronti dell’America e di Israele, perché riesce a realizzare armi a basso costo, caratterizzate però da una tecnologia sempre più sofisticata. Quello che ci vuole per armare e rendere pericolosi gruppi di resistenza «sparsi a macchia di leopardo». Ma non solo medio oriente. Il peso della teocrazia persiana arriva ben più lontano, influenzando decisamente una delle crisi contemporanee più devastanti: la guerra in Ucraina.
Secondo il WSJ è stato proprio quel conflitto la vera spinta, che ha consentito all’industria iraniana delle armi di fare un salto di livello. In particolare, il fiore all’occhiello che viene esibito, prima nelle rassegne internazionali e poi sui campi di battaglia, è costituito dai droni armati di tipo ‘Shahed’. Questo velivolo senza pilota, acquistato e utilizzato massicciamente dai russi nel corso dell’ultimo anno, ha addirittura contribuito ad arrestare la controffensiva dell’esercito di Zelensky.
Il successo è stato tale, che Mosca ha deciso di siglare un contratto con gli iraniani per realizzare un impianto di produzione in Russia, che dovrebbe andare a regime in questi mesi. L’affare, che prevede linee di realizzazione di armi anche in altri settori, ha un valore di circa un miliardo di dollari. Quando sarà operativo, dovrebbe riuscire a produrre circa 6000 droni l’anno, tutti a tecnologia avanzata.
Gli specialisti di Conflict armament research, un’organizzazione investigativa con sede nel Regno Unito, affermano che «i droni iraniani comparsi in Ucraina hanno mostrato un progresso ingegneristico, diventando più accurati grazie a miglioramenti nelle comunicazioni radio, nei computer di bordo e negli strumenti di misurazione». L’Iran ha fornito alla Russia pezzi di ricambio e munizioni d’artiglieria. Si parla anche di missili balistici a corto raggio ‘Ababil’, che si andrebbero a sommare a quelli nordcoreani a medio raggio, con circa 800 km di gittata.
L’altro scacchiere strategico sul quale i missili e i droni iraniani fanno sentire il loro peso è quello del Medio Oriente. Che, in questo momento, preoccupa Biden più della stessa Ucraina. Era uno ‘Shahed’ iraniano, il drone che lo scorso 28 gennaio ha ucciso tre militari americani in un attacco a una base tra Giordania e Siria. Lo stesso giorno, sostiene il Wall Street Journal, il Comando centrale Usa ha annunciato la confisca di parti di missili e di droni provenienti dall’Iran e diretti nello Yemen, destinati sicuramente alla campagna degli Houthi contro certo traffico marittimo nel Mar Rosso.
Le aree di crisi si legano e poi si fondono, come è avvenuto in Medio Oriente e nel Golfo Persico. L’attuale fase di tensione con gli sciiti Houthi, nello Yemen, motivata da Gaza, fa parte della sfida tra Persia e Arabia Saudita. Da quegli incroci pericolosi, nascono i primi attacchi con i droni, che gli sciiti yemeniti, sostenuti dagli ayatollah, hanno condotto contro le infrastrutture petrolifere saudite. Così come tutta la fase di fibrillazione geopolitica, che vive in questo momento l’Iraq, dipende dalla maldestra strategia americana di ‘esserci, ma non esserci’. Cioè, di presidiare il Paese da vent’anni, annunciando di volersene andare, ma di essere sempre là, a non si sa bene cosa fare.
L’Iran lo chiama ’Asse della resistenza’, ma è il vecchio e sempre diffuso antiamericanismo che trova via via sue nuove ragioni. E fa vendere a Teheran sempre più armi, che le procurano sempre più soldi.
«Esportando queste tecnologie – ha scritto il Wall Street Journal – e dimostrando la loro efficacia in battaglia, l’Iran ha probabilmente cambiato per sempre la natura della guerra asimmetrica, dando potenzialmente una leva sostanziale ad attori non statali, precedentemente svantaggiati. Le conseguenze potrebbero essere disastrose per le maggiori potenze del mondo».
https://www.popularmechanics.com/military/weapons/a43519073/iranian-drones-ukraine/