
Il ‘wokismo’, o ‘ideologia woke’, è un fenomeno pseudoculturale che prende il nome dall’aggettivo ‘woke’ il quale, letteralmente, significa ‘sveglio’. Al contempo ha preso pure piede il sostantivo ‘wokeness’, che viene di solito tradotto in modo libero con l’espressione ‘non abbassare la guardia’. Ma non abbassare la guardia di fronte a chi, di grazia?
Secondo i promotori e cultori del fenomeno, occorre sempre stare svegli e all’erta di fronte a ingiustizie sociali vere o presunte. Tuttavia il tratto più originale di questa ‘corrente di pensiero’ (vogliamo chiamarla così?) è il fatto di riguardare il passato ancor più del presente. In altri termini si vanno a cercare i personaggi che in tempi più o meno lontani hanno violato le norme del ‘wokismo’ contemporaneo e si applica ad essi la ‘damnatio memoriae’.
Scrittori, filosofi, politici, scienziati e quant’altro, non importa quando siano vissuti, vanno per l’appunto cancellati dalla memoria collettiva per rendere di nuovo pura e civile la società. Alcuni di loro – i casi meno gravi – possono sfuggire alla distruzione se qualche solerte cultore del ‘wokismo’ si assume generosamente il compito di mondare i loro testi da tutte le imperfezioni che li rendono indegni di essere non solo letti, ma anche conservati nelle biblioteche pubbliche. A quelle private – si spera – i ‘wokisti’ non avranno accesso, anche se non si può mai dire.
Cos’aveva dunque combinato Tolkien di così grave? Il mondo narrato dallo scrittore britannico è ovviamente un universo di fantasia. Vi si svolge l’eterna lotta tra il Bene e il Male, ma luoghi e personaggi non appartengono affatto al mondo concreto in cui noi tutti viviamo. Cosa potevano inventarsi, allora, i paladini della pseudocultura “woke”? Gli orchi, orrende creature al servizio delle forze del Male, anzi vere e proprie truppe d’assalto da esse utilizzate in ogni battaglia, secondo i ‘wokisti’ sarebbero vittime di una rappresentazione razzista (sic).
In sostanza, pare di capire, pur essendo al servizio dei malvagi avrebbero dovuto essere descritti come belli, buoni e gentili. Inoltre non c’è segno di cultura legata al gender tra orchi e Hobbit e questo, secondo la vulgata ‘woke’, è un peccato mortale. Qualcuno ha pure parlato di scarsa presenza femminile nelle pagine della saga. Sorprendente, se appena si pensa invece alle numerose donne presenti. Si rammenti soltanto la principessa elfa (o mezzelfa) Arwen Undomiel.
Tutti pretesti speciosi, come si capisce sin troppo bene. Ai cultori di questa pseudocultura non interessa che quello di Tolkien sia un universo di fantasia. Per loro conta, piuttosto, il fatto che le pagine dello scrittore contengono una rappresentazione del mondo antitetica a quella “woke”, per nulla politicamente corretta, e quindi da cancellare.
Si spera che in futuro ci lascino leggere in pace i suoi libri nelle nostre biblioteche private. E che a qualche estremista non venga in mente l’idea di bruciare le opere di Tolkien in roghi pubblici, come usavano fare i nazisti quando conquistarono il potere nella Germania hitleriana.
A far paura, oltre al ridicolo di quanto raccontato, è che questo tipo di pseudo-cultura sta diventando dominante in molte università americane e inglesi, che insistono a proporsi come leader culturali accanto alla potenza militare dei loro governanti. E questo non fa più sorridere. Fa paura.