
«Nonostante l’espansione territoriale nell’ex Ucraina orientale e meridionale, la Russia deve prendere atto delle proprie debolezze militari, propagandistiche e di intelligence messe in luce da questo scontro aperto con l’Occidente. Scontro che si consuma ora principalmente nel Donbas, ma che in futuro potrebbe estendersi ad altri teatri: Indo-Pacifico, Africa subsahariana, Levante, America Latina, Mitteleuropa. Per i decisori russi è necessario interrogarsi su come affrontare queste sfide affinché le conquiste territoriali si traducano anche in vantaggi geopolitici, cosa finora avvenuta solo in parte».
«Questo primo anno di guerra può essere suddiviso in tre fasi operative dal punto di vista militare. Dopo che nelle prime due Mosca ha mancato di centrare gli obiettivi più importanti che si era prefissata, sta vincendo la terza fase oggi in corso. Resta però incerto quanto tale vittoria possa considerarsi anche strategica».
«L’attacco è stato battezzato dal presidente Putin ‘operazione militare’ proprio perché non doveva dare il via alla lunga e pesante guerra di posizione ora in corso, bensì a un rapido Putsch che avrebbe rimosso Zelens’kyj sostituendolo con una giunta filorussa protetta dal nostro esercito. Questa avrebbe dovuto porre fine a ogni ambizione dell’Occidente di inglobare l’Ucraina nella Nato e nei suoi altri sistemi di alleanze».
«Secondo le previsioni, la fase d’insediamento sarebbe stata minacciata dalle azioni di guerriglia dei gruppi nazionalisti ucraini e dalle componenti di esercito e intelligence di Kiev contrarie alla nostra presenza».
«Ciò spiega perché tra le truppe russe inviate a Kiev fossero preponderanti i reparti della Rosvgardija, il corpo militare posto direttamente sotto il controllo di Putin specializzato nella gestione dell’ordine pubblico, nella lotta al terrorismo, nella protezione delle sedi istituzionali e nel contrasto alle attività di guerriglia».
Perché il presidente Putin era convinto fosse possibile? «C’è chi dice che l’integrazione di intelligence ed esercito ucraini nelle strutture occidentali fosse più profonda di quanto ci aspettassimo. Altri sostengono che il presidente russo sia stato mal consigliato dai suoi consulenti, ufficiali e non».
«Fallita la presa di Kiev già nella prima metà di marzo, le nostre truppe hanno ricevuto l’ordine di abbandonare progressivamente i sobborghi della capitale ucraina per essere ricollocate soprattutto nel Donbas, nell’Ucraina meridionale e intorno a Kharkiv, i territori che le Forze armate russe erano parzialmente riuscite a controllare».
«La fase due rispondeva a esigenze geostrategiche, propagandistiche e identitarie».
«Arrivate a Odessa le truppe avrebbero potuto ricongiungersi con i nostri soldati di stanza nella vicina Transnistria, privando così l’Ucraina dell’accesso al Mar Nero e concentrando in mani russe l’esportazione dei prodotti ucraini verso la Turchia e il Levante».
«Grandi erano le aspettative dello Stato maggiore russo per l’autunno caldo dell’Europa occidentale, le cui popolazioni impoverite dal rincaro di energia e materie prime per via delle sanzioni alla Russia avrebbero chiesto ai loro governi di non fornire più armi e aiuti all’Ucraina. I successi del nostro esercito avrebbero dovuto mostrare l’inutilità di tali forniture».
«Dal punto di vista propagandistico e identitario la conquista del Donbas e dell’Ucraina meridionale avrebbe dovuto mostrare la forza dei legami tra questi territori e la Russia, sebbene negli ultimi otto anni Kiev avesse provato a reciderli. Pensiamo alla rimozione dei simboli russi e sovietici da Odessa o alla simbolica colonizzazione ucraina a Mariupol per mano, tra l’altro, di una formazione nazionalista come il Battaglione Azov la cui convivenza con la popolazione locale era spesso difficile, se non conflittuale».
Mariupol. «Malgrado questa vittoria simbolica, usata dalla nostra propaganda per compattare il popolo russo, la seconda fase ha mancato i suoi obiettivi strategici più importanti. Dopo avere liberato tutta l’oblast’ di Luhans’k, i nostri soldati si sono trovati ad affrontare una potente controffensiva ucraina che a fine estate ci ha costretto a una rovinosa ritirata dall’oblast’ di Kharkiv e addirittura alla perdita di territori».
«A causa delle alte perdite Mosca ha dovuto indire la mobilitazione parziale dei riservisti dell’esercito, chiamando centinaia di migliaia di uomini da tutta la Russia a combattere nel Donbas. Poi ha ordinato a gran parte delle truppe di rimanere nel Donbas. Le difficoltà militari ci hanno imposto di difendere ciò che avevamo faticosamente conquistato e che rischiavamo di perdere».
«Il ponte Antonivs’kyj abbattuto dall’artiglieria ucraina, col nostro esercito costretto a una progressiva ritirata sull’altra sponda del Dnepr, fine novembre 2022, ha segnato il tramonto delle ambizioni di giungere a Odessa e la fine della seconda fase».
«La seconda manovra si sta svolgendo nel Donbas settentrionale, nel Nord delle regioni di Donec’k e di Luhans’k».
«Per questa operazione Putin ha deciso di affidarsi al Gruppo Wagner, la compagnia privata controllata da Evgenij Prigožin: un esercito distinto da quello russo che prende ordini da un vertice estraneo al ministero della Difesa, essendo alle dirette dipendenze di Prigožin».
«In questo momento la Russia sta dunque vincendo sul piano tattico, sottraendo terreno all’Ucraina e infliggendole consistenti perdite umane e materiali. L’offensiva evidenzia quanto Kiev dipenda dal sostegno occidentale e di questo Mosca è consapevole, come anche del fatto che l’arrivo di nuovi armamenti – ed eventualmente truppe – a sostegno dell’esercito ucraino potrebbe risultare determinante».
«In questo momento la Federazione Russa deve conquistare più territorio possibile, a fini strategici ma anche per convincere le opinioni pubbliche occidentali che il loro sostegno all’Ucraina è vano, così da rafforzare quanti vi si oppongono».
«Un esito della ‘Operazione speciale’ che soddisfi entrambe le parti, russa e occidentale, non porterebbe automaticamente alla ricomposizione degli equilibri internazionali precedenti al 24 febbraio 2022. L’ordine prima in vigore è ormai obsoleto, servirà quindi la disponibilità di entrambe le parti a crearne uno nuovo fondato sul rispetto dell’interesse geopolitico altrui e delle linee rosse da non oltrepassare per garantire una convivenza accettabile».