Kosovo, verso una nuova crisi armata. Il Patriarcato ortodosso di Pec vietato

Kosovo verso una nuova crisi armata. Il presidente serbo Vucic decreta la «massima allerta» per l’esercito. Sotto accusa le «discriminazioni» del premier Albin Kurti, storico protagonista nello scontro etnico tra albanesi e popolazioni slave, che ora – sotto attenzione critica -, accusa Putin di ‘soffiare sul fuoco’, mentre lui getta benzina.
Grave il divieto al Patriarca ortodosso serbo di raggiungere il monastero di Pec, il luogo della prima cristianizzazione slava, ora in territorio kosovaro. Questo per la celebrazione del Natale cristiano secondo il calendario giuliano.
Nel frattempo la politica internazionale, o si distrae o in alcuni casi -la ministra tedesca-, dice scemenze accentuando le tensioni.

«Massima allerta» per l’esercito serbo, come per le bombe Nato

Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha ordinato lo stato di massima allerta per l’esercito e le forze di polizia serbe. «Solo il giorno prima le autorità di Pristina aveva impedito l’ingresso del patriarca ortodosso Porfirjie in missione a Pec per le feste religiose», segnala Tommaso Di Francesco sul Manifesto. Il loro Natale calcolato secondo il calendario giuliano che arriva 15 giorno dopo quello cattolico. Pec sede storica del primo patriarcato cristiano in terra slava, e quindi di importantissimo valore religioso e identitario. Altro elemento storico noto davvero a pochi, il Kosovo che per la tradizione è anche Metohjia, ‘la Terra della Chiesa’.

Escalation di provocazioni

Il presidente serbo Vucic ha motivato la decisione con la necessità di «difendere la popolazione serba dalle crescenti provocazioni e minacce alla loro sicurezza e incolumità fisica». Di fatto -come anche Remocontro ha segnalato più volte-, il timore che le forze di sicurezza di Pristina intervengano con la forza contro proteste e blocchi stradali con i quali da 18 giorni i serbi contestano l’arresto di tre agenti di polizia serbi dimissionari, e per questo accusati di «atti di sabotaggio», e contro la decisione di Pristina di inviare al nord un forte contingente di forze speciali di polizia albanese (un esercito sotto copertura che non dovrebbe esistere). Numerose sparatori nell’area attorno a Kosovska Mitrovica, la Berlino kosovara divisa tra parte serba e albanese dal fiume Ibar.

Se la Kfor-Nato non fa

Il ministro degli esteri serbo Ivica Dacic è stato chiaro: saremo costretti ad intervenire «se i serbi del Kosovo saranno attaccati e se la Kfor-Nato (che presidia il territorio dalla fine della guerra nel 1999 ndr) non dovesse intervenire».

Le tre ‘linee rosse’ di Belgrado

Per Dacic sono tre le «linee rosse» di Belgrado: la creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo, decisa da accordi internazionali nel 2013 e mai attuata dai governi di Pristina; il no netto all’indipendenza del Kosovo e alla sua ammissione all’Onu e ad altri organismi internazionali; la difesa della sicurezza dei serbi. Da ricordare che il Kosovo non è riconosciuto da molti Paesi dell’Onu e nemmeno da cinque Paesi dell’Ue: Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro.

Non solo nazionalismo serbo

Nei giorni scorsi la premier serba Ana Brnabic, considerata non-nazionalista e neppure ‘orfana miloseviana’, aveva replicato con durezza alle dichiarazioni della improvvisata ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock, che -non conoscendo la materia-, ha definito «inaccettabile l’invio di forze di sicurezza serbe in Kosovo», come richiesto da Belgrado alla Kfor-Nato.

Le risoluzioni Onu solo a convenienza?

«Nel comunicato finale dei ministri degli esteri del G7 il 14 maggio 2022 – ha dichiarato Brnabic – si dice che per la soluzione di tutti i problemi e delle varie crisi nel mondo Libia, Siria, Yemen, Somalia, ecc) è necessario applicare strettamente le relative risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu. Per questo sorprende che ora il ministero degli esteri tedesco dica che la risoluzione 1244 – che prevede che la Serbia abbia il diritto di chiedere il ritorno in Kosovo di un determinato contingente delle sue forze di sicurezza – vada ignorata come ‘inaccettabile’. In fatto di diritto internazionale, sulla base di quali criteri decidete quali risoluzioni Onu vanno rispettate e quali invece no?».

Una crisi voluta e organizzata

«L’attuale crisi è la peggiore da venti anni a questa parte. Il precedente più grave furono i pogrom contro i serbi e le devastazioni dei monasteri ortodossi nel 2004», annota ancora t.d.f. sul Manifesto. La questione delle targhe auto. L’obbligo del cambio delle targhe automobilistiche serbe con quelle kosovare con il simbolo RKS, Repubblica del Kosovo, un segno di sovranità che i serbi non riconoscono e su cui avere la certezza di litigare. Per protesta dal 5 novembre tutti i rappresentanti serbi delle istituzioni kosovare – parlamento, governo, amministrazioni locali, tribunali, polizia – si sono dimessi in massa per «difendere il diritto internazionale».

Kurti, provocatore professionale

Ora il premier albanese Kurti in difficoltà politiche persino con la Nato, punta il dito contro Putin che «soffia sul fuoco», mentre i media albanesi locali si inventano addirittura la «presenze del gruppo Wagner», su cui i nostri carabinieri Kfor, ben attenti, tacciono e forse sorridono. Invenzioni pericolose.

«Il fatto è che, la Nato, gli Usa e l’Ue per ora non alimentano questa visione e mantengono un silenzio assordante: dovrebbero spiegare come mai a 23 anni dai bombardamenti ‘umanitari’ Nato sulla Serbia e a 14 anni dall’indipendenza unilaterale del Kosovo sostenuta dagli Usa, qui la ferita resta ancora aperta».

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AVEVAMO DETTO

Tags: Kosovo Serbia
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