Le armi da sole non decidono mai le guerre

Il riferimento all’attualità oggi è immediato. I miliardi di armi americane all’Ucraina per arrivare a cosa? I mancati rifornimenti non avevano facilitato i negoziati. Le nuove armi permetteranno agli ucraini di resistere, non di vincere. Restano enormi problemi di uomini. Il pacchetto di aiuti è soprattutto simbolico: l’America non vuole la resa di Kiev e prova a convincere Vladimir Putin a trattare senza troppo pretendere.
Ora, Giovanni Punzo per la storia. Verso la fine della Seconda guerra mondiale fu diffusa dalla propaganda nazista la notizia di nuove potenti armi che avrebbero rovesciato le sorti della guerra: le nuove armi in effetti c’erano, ma non erano poi così potenti, né così numerose come annunciato, mentre le sorti della guerra invece erano già volte a favore degli alleati per le condizioni generali del conflitto.

Garibaldi e ‘les chassepots’

In apparente contraddizione col titolo, quando le armi fanno la differenza, ma non per molto. «Les chassepots ont fait des merveilles». Il 3 novembre 1867 un generale francese commentò la sconfitta dei garibaldini a Mentana con queste ciniche, ma realistiche parole: un reparto di zuavi francesi mandato dall’imperatore Napoleone III a proteggere lo stato pontificio aveva sbaragliato i volontari di Garibaldi infliggendo tra l’altro pesanti perdite. Il nuovo fucile francese ‘Chassepot’ infatti – il cui impiego era stato mantenuto segreto fino all’ultimo – era un’arma nuova e contro i garibaldini, armati con vecchi fucili se non con schioppi da caccia, mostrò tutta la sua superiorità.
Si trattava di un’arma a retrocarica che consentiva di sparare a parità di tempo più colpi e con maggior precisione, ma era anche costituita da congegni complessi non sempre robustissimi. L’esercito di Napoleone III – soprattutto grazie a questa moderna arma – fu considerato il più potente del continente europeo fino alla guerra del 1870, quando fu sconfitto dai prussiani. Lo Chassepot mostrò la sua potenza provocando ancora numerose perdite, anche se non tutto l’esercito francese ne era dotato.
I prussiani al contrario, pur disponendo anch’essi di un fucile a retrocarica, benché dalle caratteristiche meno brillanti, seppero tuttavia adattarsi meglio alla nuova tattica richiesta e soprattutto manovrarono circondando e isolando le armate francesi costringendole alla resa. Quando infine l’esercito italiano occupò Roma il 20 settembre 1870 degli Chassepot era rimasta solo la frase del generale francese pronunciata tre anni prima.

Corazzate, cannoni e corazze

La lotta per il dominio del mare costituisce un altro ambito in cui il possesso o l’impiego di armi dalle caratteristiche nuove e potenti da soli non si rivelarono risolutivi. In Mediterraneo, ad esempio, gli ottomani per un certo periodo ebbero la superiorità delle artiglierie navali, ma non ottennero per questo il dominio del mare.
Più complessa fu invece la corsa agli armamenti navali che si sviluppò tra Germania e Inghilterra tra la fine dell’Ottocento e la Prima Guerra mondiale. Nei due paesi si svilupparono forti movimenti nell’opinione pubblica a favore dalla costruzione di un numero sempre maggiore di navi da battaglia, dotate di cannoni sempre più potenti e corazze impenetrabili. Ad un certo punto la Germania fu costretta a rallentare la costruzione di nuove corazzate, ma rimase pur sempre un avversario formidabile anche per l’impero britannico.
Il primo (ed unico) grande scontro navale tra le due potenze avvenne tra il 31 maggio e il 1° giugno 1916, a due anni dallo scoppio della guerra: non solo furono impiegate artiglierie navali per l’epoca straordinarie, ma si ricorse anche a modernissime tecnologie di guerra elettronica per l’intercettazione e la decifrazione dei messaggi. Eppure, benché possa sembrare incredibile, il risultato fu incerto: ancora oggi illustri storici navali si accapigliano sulla sintesi finale di «vittoria strategica» britannica e «vittoria tattica» tedesca, perché questi ultimi si ritirano in realtà con perdite minori.

Il dominio dell’aria

All’indomani della Prima Guerra mondiale nei conflitti apparve anche un terza dimensione: oltre alle battaglie navali e terrestri, si aggiunsero le battaglie aeree. Il primo teorico fu il generale italiano Giulio Douhet (1869-1930) che nel 1921 pubblicò un saggio intitolato «Il dominio dell’aria» nel quale tra l’altro affermava la superiorità del bombardamento aereo e lo suggeriva come nuovo metodo di guerra risolutivo. Le sue idee riscossero molto apprezzamento soprattutto all’estero, ma meno in Italia, nonostante la propaganda di regime insistesse sull’arma aerea.
Indubbiamente il generale aveva colto una delle grandi trasformazioni della guerra, ma da solo l’aeroplano – per quanto moderno e micidiale – non si rivelò che raramente uno strumento in sé determinante. Periodicamente, soprattutto nel quadro delle discussioni suscitate dai diversi conflitti in corso, si ricorre quindi al pensiero del fondatore della dottrina, ma sempre traendo conclusioni controverse.
Venticinque anni orsono, esattamente il 27 marzo 1999, nel corso della campagna aerea sulla Serbia provocata dalla crisi del Kosovo, un normale missile lanciato dalla contraerea colpì un modernissimo (e costosissimo) caccia americano F 117 «Nighthawk», velivolo invisibile ai radar. Nel quarto di secolo che seguì non fu mai più abbattuto un aereo simile, ma molti misero in dubbio invece le affermazioni di Douhet sull’assoluta inutilità della contraerea a terra.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro