L’Egitto americano, alleato strategico ma impresentabile

Non solo Regeni, con i torturatori assassini parte dello Stato, e non solo Zaki, finalmente liberato assieme a molto altri per uno scambio di favori internazionali (non italiani) di cui vi diremo. Stati Uniti e Occidente, Italia compresa, sul come comportarsi con l’Egitto.
Si può continuare a foraggiarlo per mantenere ad alto livello le sue forze armate baluardo alleato in Medio Oriente, ma anche forze di repressione popolare dura? Per arrivare a quelle munizioni che servono tanto all’Ucraina.
La oscillante politica estera Usa in Medio Orientale.

Un alleato importante ma impresentabile

Nell’Egitto del Presidente ed ex Generale El-Sisi la democrazia sembra evaporata, sotto il sole implacabile che cuoce i suoi deserti. Biden è stato eletto sulla base di un di una promessa netta: «Niente assegni in bianco a El-Sisi». Uno slogan che prefigurava una politica estera imperniata sul rispetto delle libertà fondamentali. Ma oggi le preoccupazioni strategiche e la ‘realpolitik’, indispensabili per tenere incollato il Medio Oriente, secondo Dipartimento di Stato e Pentagono, consigliano, troppo spesso, di girarsi dall’altro lato. Però, dopo dieci anni dal golpe che scalzò dal potere i Fratelli Mussulmani, le ‘mani pesanti’, usate da El-Sisi per tenere a freno la sua non proprio soddisfatta popolazione, hanno cominciato a lasciare i loro lividi, anche dentro il Congresso degli Stati Uniti. E così, una pattuglia di rappresentanti del Partito Democratico (undici, per ora, ma tutti di alto lignaggio) ha preso carta e penna e ha indirizzato una ponderosa lettera al Segretario di Stato, Antony Blinken.

Il messaggio è a senso unico: bloccare tutti gli stanziamenti ‘condizionati’ per la difesa verso l’Egitto. Si tratta di quei fondi che gli Stati Uniti concedono a taluni alleati. In pratica, se tu vuoi che ti arrivino i soldi, ti devi comportare in un certo modo.

1,3 miliardi di dollari

È stato il Congresso, nel 2014, a cambiare le procedure per l’erogazione degli aiuti destinati alle forze armate egiziane, sperando di liberalizzare quel sistema. Le clausole prevedono che a essere bloccata, però, possa essere solo una parte minoritaria degli stanziamenti. Dunque, su un totale di 1,3 miliardi di dollari concessi al Cairo, quest’anno la parte soggetta (in linea molto teorica) al blocco «per esigenze democratiche», era di 340 milioni. Bene, della prima tranche di 235 milioni, manco a parlarne. La democrazia è bella, ma la ‘sicurezza nazionale’, che Biden ormai tira fuori come un disco rotto, vale di più. In tal modo Blinken, con la parolina magica, ha chiuso l’argomento prima ancora di aprirlo. Per gli altri 85 milioni di dollari, garantisce il Dipartimento di Stato. Blinken dovrà certificare, come riporta l’informatissimo think tank ‘Al-Monitor’, «che l’Egitto ha compiuto progressi chiari e coerenti sul rilascio dei prigionieri politici, sul giusto processo e sulla prevenzione di intimidazioni e molestie nei confronti degli americani».

Al Sisi umanitario

Al-Monitor, tanto per farci capire il punto di vista della Casa Bianca, scrive che, l’anno scorso, le autorità americane hanno certificato che l’Egitto «aveva soddisfatto i requisiti sui prigionieri politici e sul giusto processo». Forse negli non avevano mai sentito parlare di Regeni, o forse nessuno in Italia ne aveva mai parlato con loro. Non solo. Ironia crudele, il numero dei rilasci è stato superato dal numero dei nuovi arresti. Comunque sia, bisogna riconoscere che pur avendo stretti margini di manovra, Biden ha cercato di limitare i danni, anche se non sempre ci è riuscito. In qualche modo lo ammettono i gruppi per i diritti, che sostengono come la riprogrammazione degli aiuti condizionati abbia comportato qualche limitato beneficio. Con il rilascio di un migliaio di prigionieri, attraverso il Comitato presidenziale di grazia appena formato e con il lancio di una strategia nazionale per i diritti umani.

Zaki grazie al Dipartimento di Stato

«Il mese scorso – aggiunge Al Monitor – El Sisi ha graziato un importante avvocato che si batte per le libertà (Mohamed El-Bager) e il ricercatore universitario Patrick Zaki. Il Dipartimento di Stato aveva chiesto ufficialmente il rilascio di entrambi, che erano stati imprigionati con l’accusa di diffusione di notizie false. Dopo una conversazione telefonica tra Blinken e il Ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, il governo del Cairo ha rilasciato 33 prigionieri detenuti in custodia cautelare».

Prezzo della democrazia al chilo?

Sicuramente, le pressioni finanziarie americane hanno avuto (e avranno) un peso decisivo, nel facilitare una progressiva apertura del regime nei confronti delle aspettative democratiche della popolazione. Sarà un processo lungo e tortuoso, dove la geopolitica si mischia pesantemente con i progetti di chi vuole costruire società più giuste e più libere. In questa fase, dominata da laceranti crisi internazionali e da una incipiente recessione economica, diventa molto difficile indovinare la traiettoria di sviluppo di un gigante mediterraneo come l’Egitto. Certo, mai dare niente di scontato nel mondo attuale. Così, una normale scaramuccia diplomatica può trasformarsi, in qualsiasi momento, in un vero e proprio braccio di ferro, che deforma relazioni anche consolidate tra due Paesi.

E ancora la guerra ucraina

Sarà un caso, ma l’Egitto ha appena finito di litigare con gli Stati Uniti, dietro le quinte, per un altro motivo meno reclamizzato: si rifiuta di fornire armi e munizioni all’Ucraina. È una rappresaglia contro Biden? No, diremmo, piuttosto che è la certificazione di una tendenza già emersa, con chiarezza, al recente summit Russia-Africa di San Pietroburgo. Le potenze regionali tendono a stare ‘in mezzo’, a non allinearsi e a privilegiare una visione del mondo multipolare.

Biden dice di non aver dato assegni in bianco a El-Sisi? Bene. Ma forse qualche cambiale, in nome della democrazia, quella vera, avrebbe potuto pure fargliela firmare.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro