Popoli scacciati e terre rubate: ferocia antica nel più mite ‘pulizia etnica’

L’espressione ‘pulizia etnica’ colse drammaticamente l’attenzione della comunità internazionale alla conclusione del ‘decennio balcanico’, ma in realtà si tratta di una tragedia antica e purtroppo ancora presente.
Di ‘pulizia etnica’ il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ne parla per la prima volta nel 1992. La pulizia etnica non è un crimine in quanto tale, ma, a seconda della portata e della gravità degli atti possiamo avere «crimini contro l’umanità», o «crimini di guerra».
‘Pulizie etniche’ nella storia

L’età moderna

Contrariamente all’immagine crudele e sanguinaria che secondo i contemporanei caratterizza l’antichità, i casi di popoli sterminati da altri per la loro diversità sono piuttosto rari. Non si trattava di un aspetto umanitario, ma semplicemente pragmatico: debellare un popolo sconfitto non era conveniente, perché era meglio assoggettarlo per ottenere dei tributi o schiavizzarlo per sfruttarne il lavoro coatto.
Le prime ‘pulizie etniche’ si verificarono in Europa, agli albori dell’età moderna e la più nota avvenne in Spagna contro arabi ed ebrei, che pure avevano contribuito con le loro competenze e i loro commerci alla prosperità del regno. Tra i cinquanta e i centomila ebrei spagnoli furono costretti ad abbandonare il regno nell’ultimo decennio del XV secolo, messi di fronte all’alternativa tra conversione o imprigionamento.
Cinquant’anni dopo l’Inquisizione rivolse la propria attenzione ai ‘moriscos’, ossia ai musulmani convertiti: a Granada un tentativo di resistenza armata fu stroncato duramente e i superstiti deportati o costretti alla fuga in Nord Africa.
In Germania, durante la Guerra dei Trent’Anni, si mescolarono spesso aspetti religiosi ed etnici: soprattutto in Boemia si tentò di sostituire con elementi tedeschi (cattolici) le popolazioni originarie (protestanti).
Un caso drammatico di ‘pulizia etnica’ si verificò in Irlanda durante la guerra civile inglese ad opera di Oliver Cromwell: in questa lotta si mescolarono infatti sia aspetti religiosi come il conflitto tra cattolici e protestanti, sia politici come la fedeltà al re o alla repubblica ed anche etnici, in quanto gli irlandesi erano gli eredi dell’antica cultura gaelica. Le conseguenze furono devastanti e provocarono la morte di circa trecentomila irlandesi.
«Ho dato la proibizione di risparmiare chiunque fosse in armi nella città e quella notte abbiamo passato per le armi circa duemila uomini …», riferì serenamente Cromwell al parlamento inglese dopo la caduta della città di Drogheda nel 1649.

La conquista degli imperi

Nelle conquiste coloniali si assisté al peggio del peggio. Gli spagnoli penetrarono dapprima nelle isole caraibiche, dove non si trovarono di fronte a stati, ma a piccole comunità spesso in disaccordo tra loro: fu sufficiente eliminare fisicamente le élite e sostituirsi al comando imponendo agli indigeni di lavorare nelle tenute o nelle miniere. Più complessa l’espansione nel continente latino-americano dove esistevano forme statali e di civilizzazione che, nei limiti delle loro capacità, tentarono di opporsi agli invasori.
Cortès, sfruttando abilmente le rivalità tra i diversi gruppi atzechi, fece in modo che si combattessero tra loro con una tale ferocia che fece indignare Bartolomé di Las Casas, vescovo di San Cristobal nel Chiapas: i ‘conquistadores’, che non poterono negare la sostanza dell’energica requisitoria del vescovo, si limitarono allora a contestarne solo i dettagli accusando gli indios di antropofagia. Anche dopo la decolonizzazione e la nascita di stati indipendenti, persecuzioni e stragi contro i nativi non cessarono, come nel caso dell’Argentina nelle sterminate pianure centrali.
Nel 1788 iniziò la colonizzazione inglese in Australia: fu subito chiaro che i nativi non erano in grado di opporre nessuna resistenza, ma sorse anche il problema di quale status assegnare agli aborigeni. I cacciatori-raccoglitori non erano insomma integrabili e in soccorso dei coloni si fece ricorso ad una distorsione delle teorie di Darwin che li convinse di trovarsi di fronte non a una razza, ma ad una specie diversa.
Nel 1889 l’Australia Occidentale ottenne l’autonomia, ma il governo di Londra mantenne le proprie competenze sulla popolazione aborigena: Westiminster, che si trovava comunque dall’altra parte del globo, non manifestò mai alcun interesse per la questione, nè concesse risorse aggiuntive per l’amministrazione. Solo nel 1972 si ottenne la concessione della piena cittadinanza e di una minimale forma di autogoverno, ma dall’altra parte continuò la discriminazione.

Gli Stati Uniti

Più complesso quello che avvenne nel Nord America. I primi episodi di pulizia etnica in Virginia e nel New England, già con spiccate caratteristiche di genocidio, risalgono al XVII secolo. I coloni continuavano ad affluire nel Nuovo Mondo, decennio dopo decennio: coltivavano le terre dei nativi, praticavano la caccia per il loro sostentamento e per rivendere le pelli sottraendo selvaggina agli indiani e costruivano villaggi e strade: le zone in precedenza abitate dai nativi finirono per degradarsi e le condizioni per la loro sopravvivenza peggiorarono. Nel 1617 John Winthrop, commentando un’epidemia di vaiolo che stava mietendo centinaia di vittime tra i nativi, disse che la mano di Dio stava creando nuovi spazi per i coloni riscuotendo approvazione da parte della comunità.
Paradossalmente la situazione si inasprì nel momento in cui in Europa si diffusero le idee illuministe: istruzione e civiltà insomma si potevano apprendere, ma la razza non poteva cambiare. Nel frattempo, a nord nel Canada, i nativi furono coinvolti anche nella guerra tra Francia e Inghilterra svolgendo ruoli di truppe ausiliarie, ma rendendosi anche responsabili di massacri e rappresaglie da ambo le parti che aumentarono la spirale di violenza. La nascita degli Stati Uniti non migliorò le cose: nonostante le buone intenzioni di Washington o Jefferson, i coloni si opposero sempre ai progetti di istruzione e integrazione.
Nel 1860 la popolazione nativa della California – territorio conquistato alla Spagna una decina di anni prima – si era ridotta da centocinquantamila unità a trentamila: il nuovo stato, che aveva sancito nella propria costituzione il suffragio universale maschile – principio molto avanzato per l’epoca –, condusse una politica segregazionista e ostile nei confronti degli indiani, prendendo però decisioni ‘democraticamente’. In altri stati di frontiera alcuni governatori inserirono lo sterminio degli indiani nei programmi elettorali o condussero violente campagne stampa.

Nel 1871, dopo un ennesimo massacro di nativi nei pressi di Tucson, il presidente Ulysses S. Grant intervenne di persona affinché i responsabili fossero processati: la giuria, dopo essersi riunita per venti minuti, assolse tutti gli imputati.
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