
«Avvertiamo angoscia per la violenza cui, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nella vita quotidiana. Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. E’ il più urgente esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità. La violenza sulle donne: Ragazzi l’amore non è dominio né possesso. Non volgere lo sguardo altrove di fronte ai migranti. L’intelligenza artificiale una rivoluzione, facciamo che resti umana», sintesi estrema del futuro del mondo visto dal Presidente Mattarella.
«Il referendum globale sul pianeta Terra, nel 2024, avrà due rivali sulle schede, Democrazia contro Autoritarismo. Quattro miliardi e 170 milioni di esseri umani andranno al voto e la loro scelta sarà cruciale, dai villaggi con le strade sterrate del Ghana, agli attici lucenti di Wall Street, dall’isola assediata di Taiwan, alle periferie siberiane in Russia: rafforzare libertà e giustizia o dar forza a regime autoritari?», il dubbio di Gianni Riotta.
Il 2024 potrebbe essere l’anno con il maggior numero di abitanti del Pianeta chiamati alle urne per scegliere Parlamenti e leader, 56 Paesi coinvolti – le Europee valgono per 27. Se si considerano anche le consultazioni amministrative e locali, gli Stati salgono a 76, con oltre la metà della popolazione mondiale. Non sempre le procedure saranno democratiche, ma in alcuni casi i risultati avranno comunque importanti ripercussioni non solo nei singoli Stati
L’ottava elezione presidenziale diretta a Taiwan è prevista per il 13 gennai. In gioco interessi strategici vitali per Taipei, con conseguenze sia sulle politiche degli alleati Stati Uniti sia della rivale Cina. Le aspettative Usa per il Partito Democratico Progressista al governo e favorevole all’indipendenza, ma le fasi finali della corsa danno il leader a gradimento americano davanti di poco allo sfidante Hou Yu-ih, del Kuomintang, più vicino a Pechino
Più di 200 milioni di persone a votare per il 14 febbraio, il più grande voto presidenziale diretto al mondo, nel più popoloso Paese musulmano, in cui la tradizionale tolleranza religiosa e culturale – inserita nella Costituzione – ha subito colpi recenti. Tre candidati in lizza per sostituire il presidente per due mandati Joko Widodo. Secondo molti osservatori, «le elezioni avranno influenza sul modo in cui il potere viene conquistato, sui diritti umani e sulla libertà di espressione».
Tra il 15 e il 17 marzo Vladimir Putin allungherà il suo mandato al 2030. Siede al Cremlino come presidente della Russia dal 31 dicembre 1999, con una pausa di 4 anni dal 2008 al 2012 come primo ministro. E la Costituzione non gli vieterebbe di ricandidarsi fino al 2036. Rivali credibili nessuno, anche se con trenta nomi di rivali. Nomi ‘fastidiosi’, la pacifista Ekaterina Duntsova, ex giornalista, ad esclusione preventiva
Le elezioni generali nella nazione più popolosa nella più grande democrazia formale del mondo. 1,4 miliardi di persone e 950 milioni di votanti registrati. Al voto nell’arco di diverse settimane tra aprile e maggio. Il primo ministro Narendra Modi e il suo ‘Bharatiya Janata Party’ verso il terzo mandato quinquennale. Il premier, 73 anni, continua a godere di un’ampia popolarità, in forza (e malgrado) il crescente nazionalismo indù, forte dei successi economici, mentre l’opposizione fatica a conquistare spazio. All’opposizione una coalizione chiamata INDIA acronimo di Indian National Developmental Inclusive Alliance), che include il partito dei Gandhi, che punta ad un difficile ritorno.
Due donne, Claudia Sheinbaum e Xóchitl Gálvez, in lizza in Messico il prossimo 2 giugno per succedere al presidente Andrés Manuel López Obrador. Sfida tra l’ex sindaco di Città del Messico Sheinbaum,coalizione del governo uscente (in vantaggio nei sondaggi), e la senatrice Gálvez, candidato del Fronte Ampio per il Messico. Quasi 100 milioni di elettori sono chiamati a conferire un mandato di sei anni a una leader che dovrà affrontare i principali problemi del Paese, legati alla violenza dei cartelli del narcotraffico, alla corruzione e ai flussi migratori verso gli Stati Uniti.
Tra il 6 e il 9 giugno saranno 400 milioni gli europei chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento di Strasburgo. È l’unico caso in cui non si vota per gli organi di una nazione, ma di un’Unione di 27 Stati. La prima forza uscente è il Partito popolare, alleato con i socialisti, e i liberali nella cosiddetta ‘maggioranza Ursula’, che ha portato alla presidenza della Commissione la popolare tedesca Von der Leyen. Le previsioni danno una crescita di forze euroscettiche o sovraniste, ma i risultati recenti in Spagna, Polonia e Olanda hanno fornito indicazioni contrastanti sulle tendenze generali.
C’è inoltre la possibilità che vi sia un rimescolamento nella composizione delle ‘famiglie politiche’, compresi scenari che vedono lo spostamento del partito Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán, uscito dal Ppe. Non è nemmeno esclusa una nuova maggioranza tra popolari e conservatori, dove Fratelli d’Italia svolgerebbe un ruolo chiave. Riflettori puntati anche sui risultati in singoli Paesi, come la Germania e la Francia, con test importanti per i rispettivi governi, insidiati dalle opposizioni di centro-destra.
Il 5 novembre si svolgerà il 60esimo voto della storia degli Stati Uniti per eleggere il presidente, che resterà in carica alla Casa Bianca per quattro anni, dal gennaio 2025. Si annuncia come una delle elezioni più infuocate e dagli esiti imprevedibili della storia americana, nelle quali l’affluenza (solitamente bassa) avrà un peso rilevante. L’incognita non è tanto per la scelta tra i due candidati – per ora il leader uscente, il democratico Joe Biden, e lo sfidante repubblicano Donald Trump – quanto per gli effetti di una vittoria di quest’ultimo.
Il tycoon, plurinquisito e processato, potrebbe assumere decisioni dirompenti sia sul piano interno sia a livello internazionale, creando una frattura interna e rimescolamenti degli equilibri globali. La guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, il braccio di ferro su Taiwan, i rapporti con l’Unione europea, le politiche climatiche sono i fronti caldi sui quali l’elezione di Trump avrebbe effetti importanti e forse anche rivoluzionari, come la ventilata uscita degli Usa dalla Nato.