Il clima va male e la conferenza Onu in Egitto, la Cop27, va peggio

La Cop27 in Egitto non sta andando bene, si modera l’ISPI. La scelta di tenere la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in Egitto, un paese governato con il pugno di ferro da Abdel Fattah al Sisi, in cui la repressione del dissenso è all’ordine del giorno, si sta rivelando un errore di cui, a pagare le conseguenze, potrebbero essere gli stessi negoziati al centro dell’incontro.
Molte delegazioni e organizzazioni di attivisti sono stati costretti a file interminabili per ottenere un visto d’ingresso al loro arrivo in aeroporto e, talvolta, rimandati indietro senza alcuna spiegazione. Mentre secondo POLITICO diverse delegazioni sono state avvisate dai rispettivi governi di non scaricare l’app ufficiale del governo egiziano, nel timore che possa essere utilizzata per hackerare le loro e-mail private, i messaggi e persino le conversazioni vocali. In compenso, all’evento è presente un numero record di lobbisti delle aziende dei combustibili fossili: secondo il Guardian ce ne sono 600, un aumento di oltre il 25% rispetto allo scorso anno, e che supera di gran lunga il numero dei rappresentanti delle comunità colpite dalla crisi climatica.

Cop27 alla prova della giustizia climatica globale

Passaggio chiave, i danni subiti dai Paesi in via di sviluppo per i cambiamenti climatici causati dai Paesi sviluppati scrive Simone Tagliapietra, docente all’Università Cattolica di Milano, sul Corriere della Sera, con una buona dose di ottimismo. «Dopo 48 ore di intensi colloqui, i delegati hanno deciso di inserire nell’agenda della conferenza un punto su ‘Perdite e danni’, termine tecnico per indicare chi debba far fronte ai costi dei danni causati da eventi metereologici estremi nei Paesi in via di sviluppo più vulnerabili a un cambiamento climatico a cui certamente non hanno contribuito». La recente, devastante, alluvione in Pakistan è solo il più recente esempio dei danni che già oggi genera il riscaldamento globale.

Risultato tangibile all’esterno del mondo diplomatico?

Forse nessun risultato pratico a breve ma si inizia a discutere una questione che da tempo crea le più profonde spaccature tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo. Di «Perdite e danni» si parla al 1991 quando l’Alleanza dei piccoli Stati insulari ha chiesto un meccanismo che compensasse i Paesi colpiti dall’innalzamento del livello del mare. Trent’anni dopo più Paesi vulnerabili si sono resi conto di essere colpiti da cambiamenti climatici che vanno oltre la loro capacità di mitigare.

«Fondo per le perdite e i danni»

L’anno scorso, la Cop26 è stata molto vicina alla creazione di un «Fondo per le perdite e i danni». Finanziamenti delle nazioni ricche verso i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili sul fronte climatico. Ma l’iniziativa è stata alla fine respinta dai Paesi ricchi, a cominciare da Europa e Stati Uniti, che temono di addossarsi una responsabilità illimitata sul tema.

Giustizia climatica internazionale

Già nel 2009, i Paesi sviluppati avevano concordato di fornire 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 ai Paesi in via di sviluppo per sostenerli nei progetti di mitigazione e adattamento al clima. Ma a seconda di come viene misurato il «sostegno», mancano tra 20 miliardi (stime Ocse) e 80 miliardi di dollari all’anno (stime Oxfam), con i furbi invece di conteggiare solo i benefici dai prestiti a tassi inferiori a quelli di mercato calcolano l’intero valore dei prestiti che poi vogliono farsi restituire.

Governi post coloniali truffa

«Le Nazioni Unite stimano che gli impegni climatici presentati dai Paesi in via di sviluppo nel vecchio Accordo di Parigi comporterebbero da soli un fabbisogno finanziario complessivo di circa 6 trilioni di dollari fino al 2030». Ma almeno, a Sharm el-Sheikh, mantenere l’impegno di 100 miliardi di dollari per il clima a sostegno dei Paesi in via di sviluppo e agire per proteggere le comunità vulnerabili già colpite dal cambiamento climatico. Insomma, «fondo perdite e danni», ma sulla base di contributi volontari.

Paesi sviluppati e spilorci

Per ora, la Danimarca è l’unico Paese che ha offerto un risarcimento per le «Perdite e danni» ai Paesi più vulnerabili al clima, impegnandosi nel settembre 2022 a destinare 13 milioni di dollari. Meccanismo ‘donazioni’ a scansare ammissioni di responsabilità e impegni futuri. di Parigi delle «responsabilità comuni ma differenziate» e per garantire la giustizia climatica globale. Questo definirà anche, in ultima analisi, se la Cop27 sarà un successo o meno.

Adattamento ai cambiamenti climatici, come fare sul serio

«I governi da soli non possono farcela: anche il settore privato deve impegnarsi. E c’è un chiaro motivo di business per farlo», ammette Neo Gim Huay, nome e aspetto asiatico, formazione scientifica e di Busines tutta occidentale. La signora Neo Gim Huay è amministratore delegato del Centro per la natura e il clima al World Economic Forum e iln suo allarme si basa su dati scientifici ormai certi. «Ora dobbiamo concentrarci sulla necessità di proteggere noi stessi e il nostro pianeta. I cambiamenti climatici non sono più una minaccia lontana. Sono qui, influiscono sulle vite, i mezzi di sussistenza, sconvolgono i cicli idrologici e altri cicli ecologici».

Riassunto dei terrori precedenti

  • La Terra si è riscaldata di 1,1 gradi rispetto ai livelli preindustriali e il numero di catastrofi climatiche e meteorologiche è aumentato di quasi il 35% dagli anni ‘90. Le recenti e devastanti alluvioni in Pakistan e Nigeria che hanno causato centinaia di morti e milioni di sfollati.
  • L’adattamento ai cambiamenti climatici implica rivedere e adeguare il nostro approccio commerciale e politico e adottare soluzioni tecnologiche, finanziarie e di altro tipo per essere più preparati ai cambiamenti ambientali e agli eventi meteorologici.
  • Secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, quasi 3,3 miliardi di persone, ossia quasi la metà della popolazione mondiale, vivono in climi altamente vulnerabili. Ma il problema non riguarda solo i più vulnerabili.
  • Siccità, incendi e altri disastri naturali sono sempre più frequenti e intensi, lasciando dietro di sé perdite di vite umane, infrastrutture danneggiate e catene di approvvigionamento interrotte. Ogni governo, azienda e individuo deve prepararsi.
  • Le Nazioni Unite stimano che il costo attuale per soddisfare le esigenze di adattamento sia di 70 miliardi di dollari. Entro il 2050 potrebbe raggiungere i 500 miliardi di dollari. Secondo il Carbon Disclosure Project, solo per i rischi legati all’acqua, i costi dell’inattività sono cinque volte superiori a quelli dell’azione attuale.

Cosa fare per accelerare gli sforzi di adattamento?

Finora l’adattamento ai cambiamenti climatici è stato considerato in gran parte una responsabilità dei governi, ma i governi non possono riuscirci da soli. E qui entra in campo l’affare del millennio per salvare il pianeta, bombe atomiche permettendo. «A livello globale, 1.800 miliardi di dollari di investimenti negli sforzi di adattamento potrebbero generare 7.100 miliardi di dollari di profitti netti totali entro il 2030, secondo un rapporto del 2019 della Commissione globale sull’adattamento».

Tags: ambiente clima
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