Che i sovrani concludessero tra loro accordi o alleanze mantenendone però segreto il contenuto e taluni dettagli imbarazzanti non è una novità, ma una storia molto antica. Il primo episodio che ruppe clamorosamente questa consuetudine si verificò verso la fine della Prima Guerra mondiale e cioè allo scoppio della rivoluzione d’Ottobre: con l’intento di far crollare il sistema imperialista delle relazioni internazionali i bolscevichi pubblicarono alla fine del 1917 una serie di documenti segreti custoditi nell’archivio del ministero degli esteri russo. Lenin intendeva proclamare la fine della diplomazia segreta che – a suo parere – aveva provocato la guerra mondiale.
I governi delle democrazie europee rimasero sconcertati, perché furono resi noti accordi di spartizioni territoriali tra alleati a danno di altri stati: lo sgomento aumentò quando il presidente americano Wilson a gennaio del 1918 mise al primo posto dei suoi Quattordici punti la diplomazia ‘pubblica’, ovvero basata su convenzioni internazionali ‘apertamente negoziate e concluse’ e prive di clausole segrete e suggerì di creare un’organizzazione internazionale per discutere collettivamente le diverse politiche (la Società delle Nazioni). Secondo Wilson democrazia e trasparenza avrebbero così preservato la pace nel mondo.
Tuttavia, all’incirca un anno dopo, i Quattro grandi, cioè i vincitori della guerra (Wilson compreso), decisero segretamente il nuovo assetto mondiale, non ascoltarono i vinti ed esclusero i bolscevichi dalle trattative. Anche l’altra idea di Wilson, la Società delle Nazioni, non ebbe miglior fortuna. La ragion di Stato aveva insomma prevalso sulla democrazia.
Da una ventina d’anni è cominciato il primo secolo del terzo millennio e si sono già verificati due importanti episodi che hanno riproposto la questione del segreto e della diplomazia pubblica, anche se non sono mancate sporadiche occasioni di imbarazzo dalla divulgazione di documenti che avrebbero dovuto restare segreti, come nel caso dell’inchiesta del congresso americano su forniture di armi o finanziamenti a paesi sotto embargo. La scoperta che nascostamente l’amministrazione Reagan appoggiava con l’invio di armi l’Iran e con denaro l’azione dei Contras in Nicaragua indubbiamente incrinò l’immagine del presidente degli Stati Uniti, ma l’incidente fu poi superato.
Più complessa invece la vicenda dell’australiano Julian Assange che dal 2006, attraverso WikiLeaks, in diversi periodi pubblicò documenti segreti su vari temi: dalla brutalità omicida della polizia kenyota alla corruzione nel mondo arabo, dai bombardamenti sullo Yemen alla rivolta nel Tibet cinese nel 2008. Il vero e proprio caso Assange scoppiò però nel 2010, quando furono resi noti documenti sul conflitto in Afghanistan tra i quali l’«Afghan Leaks», un registro militare statunitense che elencava una serie di documenti ‘top secret’ destinati esclusivamente ai più alti vertici. Iniziò allora una vicenda complicata, segnata da numerosi colpi di scena e che non si è ancora conclusa.
Dopo un periodo di detenzione nel 2010, a seguito di una richiesta di estradizione della Svezia per un reato sessuale (accusa rivelatasi poi infondata), Assange fu liberato; riparò in seguito nella sede dell’ambasciata dell’Equador a Londra dove rimase per anni fino ad un secondo arresto da parte britannica in attesa della sua estradizione negli Stati Uniti.
Il secondo personaggio che in tempi recenti divulgò informazioni che non avrebbero dovuto essere rese note fu l’americano Edward Snowden e la cosa che stupì maggiormente fu la sua posizione di dipendente di una società informatica che lavorava per la CIA e la National Security Agency. Tra il maggio e il giugno 2013 due importanti quotidiani internazionali come «The Guardian» e «The Washington Post» rivelarono l’esistenza di un sistema ‘globale’ di intercettazioni su tutte le comunicazioni internet e telefoniche – anche di paesi alleati –, mentre il settimanale tedesco «Der Spiegel» pubblicò inoltre la notizia che perfino diplomatici dell’Unione Europea in missione negli Stati Uniti erano stati regolarmente intercettati. Non stupisce che, alla metà di luglio dello stesso anno, la redazione del «Guardian» fosse letteralmente invasa da agenti dell’intelligence britannico che pretesero la distruzione dei file dai computer del giornale.
Anche Snowden, che nel frattempo ha dichiarato più volte che il suo intento era quello di rivelare dei comportamenti illegali, ovviamente fu costretto a fuggire per sottrarsi all’arresto in circostanze movimentate: dopo un periodo trascorso ad Hong Kong e il fallito tentativo di asilo politico in Islanda, riparò in Russia, paese del quale ottenne la cittadinanza nel 2022. Il resto è cronaca, anche se non tutti i protagonisti delle divulgazioni possono per questo rivendicare un profilo come Lenin o Wilson.
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