Nuovo governo di destra con esponenti del neofascismo a cento anni dalla Marcia su Roma. Obbligo di memoria

Uno dei più bei libri che descriva l’Italia della prima metà degli anni Venti è probabilmente «Marcia su Roma e dintorni» di Emilio Lussu. Non contiene lunghe e accurate ricostruzioni dei fatti politici, o ‘del palazzo’, come si direbbe oggi, ma racconta con ironia tanti episodi di sopraffazione violenta e anche stati d’animo del dopo, a cominciare da come con molta flessibilità i più si adattarono al nuovo corso.
Per non essere subito troppo severi col presente politico italiano che si affaccia.

Emilio Lussu

La marcia

La sede operativa scelta dal Quadrumvirato (composto da Bianchi, De Bono, De Vecchi e Balbo) fu Perugia, vicina a Roma, ma le colonne delle camicie nere si trovavano invece a Civitavecchia, Tivoli e Mentana. Un moderno comando con nuovi mezzi di comunicazione – annota Lussu – era insomma vicino alle truppe per guidarle. Non si capiva invece come mai Mussolini da Napoli, dopo aver dato il via all’operazione, avesse ripreso il treno per Roma attraversandola e tornando a Milano, cioè a seicento chilometri dall’obiettivo. A Milano la sede ben protetta e circondata da barricate fu la redazione del giornale «Il Popolo d’Italia», in una stretta via del cento non lontana dal Duomo.
Il 28 mattina le agenzie di stampa annunciarono la proclamazione dello stato d’assedio e qualche prefetto o questore zelante effettuò alcuni arresti. Prima dell’una dello stesso giorno lo stato d’assedio fu però revocato. Facta, presidente del consiglio dei ministri in carica si era infatti presentato dal re Vittorio Emanuele III che però non aveva firmato il decreto.
Si levarono grida di «Viva il re!», ma non da tutti; Mussolini fu ricevuto il 29 per l’incarico dal re, mentre le colonne in mezzo a contrattempi e ritardi non erano ancora arrivate; sfilarono infatti nella piazza del Quirinale due giorni dopo. «L’Italia vuole ormai riposare» fu la malinconica conclusione di Emilio Lussu.

In Sardegna

I fascisti sardi non avevano potuto partecipare alla marcia e tuttavia, anch’essi mobilitati, organizzarono una marcia su Cagliari il 28 che ebbe un esito poco felice: le opposizioni si erano unite respingendo il tentativo di impadronirsi della loro sede. Il 31 però, mentre a Roma si celebrava il successo, ricomparvero in città per organizzare una manifestazione sotto la prefettura. Il prefetto fu costretto ad inneggiare pubblicamente al nuovo presidente del consiglio, ma nella città le cose andarono diversamente e si tornò situazione della sera del 28 con i gruppi di camicie nere cacciati via.
Il 4 novembre, anniversario della vittoria, più di ventimila ex combattenti sardi si radunarono per la cerimonia e – al passaggio dei fascisti – levarono grida contrarie. In breve fu inutile l’intervento del prefetto e del generale comandante la divisione territoriale: nessuno degli ex combattenti, tra i quali moltissimi soldati che avevano combattuto proprio con Lussu, volle gridare «Viva il re!».
Il nuovo governo li sostituì entrambi poco dopo ed inviò sul posto un rappresentante parlamentare – non fascista – per placare gli animi. Nel colloquio con Lussu l’inviato da Roma manifestò attaccamento alla libertà e aggiunse, forse un po’ sprovveduto, che il nuovo governo sarebbe durato poco. In realtà, di li a poco, sarebbe stato nominato sottosegretario alle finanze. I giornali – commentando l’avvenimento – aggiunsero che era ‘fascista da sempre’.

Offerte che non si potevano rifiutare

Cominciarono tempi duri e oscuri, scanditi dal manganello e dall’olio di ricino e si verificarono durissimi scontri che provocarono anche numerose vittime. Lussu descrisse numerose di queste grottesche spedizioni che si concludevano solitamente con il rituale dell’«Eja, Eja, Eja, Alalà» ispirato da d’Annunzio. Più amare sono le considerazioni di Lussu su tanti altri che, sebbene non minacciati direttamente, si recarono con imbarazzo da lui per annunciare che ‘dovevano’ rinunciare alla collaborazione con qualche cooperativa o all’amministrazione di altri enti.
E seguirono tante crisi di coscienza mentre il regime e la dittatura si rafforzavano. Nel 1927 Lussu fu condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a cinque anni di confino ed internato a Lipari. Meno di due anni dopo riuscì però ad evadere e a raggiungere la Francia insieme a Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti. Mentre il motoscafo degli evasi solcava il Mediterraneo, piccolo come un guscio di noce in un mare immenso, fu pronunciata la frase che conclude il libro:

«Il mondo va a destra!» «Il mondo non va né a destra, né a sinistra. Il mondo continua a girare attorno a se stesso, con regolari eclissi di luna e di sole».

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