
Sanzioni di un paese Nato ad Israele per la sua guerra a Gaza. Non solo contro Putin, e ora, qualcun altro tra meno Usa dipendenti Nato, potrebbero persino rilanciare l’idea in Europa. Ieri l’annuncio del governo di Ankara che –come da titolo di Haaretz-, non lasciare spazio ad equivoci: «Una decisione che le autorità di Ankara attribuiscono, in particolare, al rifiuto israeliano di consentire missioni umanitarie (lancio di rifornimenti agli sfollati) da parte dell’aeronautica turca». È stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso fin troppo pieno di rancori e risentimenti con cui finora si era convissuti, in nome e per conto della ‘realpolitik’ Nato-Occidentale.
Il Ministro degli Esteri, Hakan Fidan, aveva anticipato che la reazione turca, questa volta, sarebbe stata dura. «Oggi il mondo intero attende con ansia il giorno in cui le autorità israeliane saranno assicurate alla giustizia. Per la prima volta nella storia, tutti condannano Israele e maledicono i suoi crimini». Reazione verbale forte, modello mediorintere, ma la possibile denuncia ad un Netanyahu per crimini di guerra che diventa sempre meno astratta.
Ma, dalle minacce ai fatti. Ed il Ministero per il Commercio di Erdogan ha comunicato di avere preparato una lista di 54 prodotti, la cui esportazione verso Israele sarà momentaneamente bloccata. I prodotti includono, tra le altre cose, alluminio, acciaio, materiali da costruzione, carburante per aerei e fertilizzanti chimici. La reazione israeliana è stata immediata. Il Ministro degli Esteri, Israel Katz, ha fatto sapere che il suo Paese sta preparando le adeguate restrizioni commerciali, da applicare, in risposta, ai prodotti in arrivo dalla Turchia. «Erdogan – ha detto – per sostenere Hamas sta ancora una volta sacrificando gli interessi economici della Turchia. Non ci arrenderemo alla violenza e al ricatto». Poi Katz –vizio personale ormai noto-, si è un po’ allargato, minacciando di mettere sotto pressione il governo turco con gli alleati occidentali.
«Katz ha anche affermato – scrive il quotidiano Haaretz – che Israele intende rivolgersi al Congresso degli Stati Uniti, per verificare se la Turchia abbia violato gli accordi commerciali con Israele e se debba essere sanzionata. Inoltre, Israele chiederà agli alleati e alle organizzazioni statunitensi di fermare gli investimenti turchi e di interrompere le loro esportazioni». In tutore Usa quando conviene e Katz a cui sfugga che quello della Turchia è episodio minore. Primo segnale di una realtà politica molto più complessa, con gli analisti che segnalano le crescenti difficoltà, del Presidente Erdogan, a controllare gli umori popolari sulla guerra di Gaza.
Il suo governo è stato attaccato recentemente da gruppi islamisti, conservatori e tradizionalisti, che trovano l’atteggiamento di Erdogan verso Israele duro nella forma, ma debole nella sostanza. Benché il ‘sultano’ si ritenga il campione dell’islamismo in doppiopetto, all’inizio della crisi di Gaza aveva usato toni incendiari verso Tel Aviv. Ma poi (come spesso gli capita) le minacce erano rimaste parole. Con grande stupore, come scrive il think tank ‘Al Monitor’, del blocco elettorale che sorregge il suo governo. Insomma, anche la Turchia ha vissuto la sindrome tutta mediorientale che potremmo definire «della piramide rovesciata», dove le scelte dei gruppi dirigenti non interpretano, quasi mai, gli umori della base popolare.
Ma questa volta, secondo Sinan Ulgen (Carnegie Endowment), «il governo ha dovuto operare questa scelta a causa della forte pressione dell’opinione pubblica». Anche perché una piccola formazione politica (il Nuovo Welfare), alleata dell’AKP di Erdogan, ha sottratto voti proprio al partito del Presidente, aggiudicandosi addirittura due grandi province, alle recenti elezioni amministrative. Scavalcato a destra e con la gente in piazza a manifestare, Erdogan ha dovuto forzare la mano e passare all’azione. Anche se, fanno notare i commentatori, continua a mantenere ancora un basso profilo, affidando la visibilità della battaglia ‘ideale’ contro Israele al Ministro Fidan.
Certo, i problemi di politica interna per Erdogan sono stati moltiplicati dalla guerra di Gaza. Sabato scorso, tra chi protestava a Piazza Taksim, a Istanbul, c’era uno strano miscuglio di islamisti, conservatori e giovani progressisti sostenitori della Palestina. Tutti uniti dalla loro rabbia contro Israele. E tutti contro un governo turco ritenuto solo imbelle e parolaio.