
Il presidente turco Erdoğan a Leopoli, in Galizia, per incontrare il presidente dell’Ucraina Zelens’kyj con la mediazione del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Tra i temi trattati e resi noti, «i “corridoi del grano”, l’ipotetico ma improbabile cessate-il-fuoco, la pericolosa situazione attorno la centrale nucleare di Zaporižžja», elenca Mirko Mussetti. Intesa sulla ricostruzione del alla cessazione delle ostilità, e fornitura di sistemi d’arma di produzione turca. In ogni caso Ankara incassa.
La più grande d’Europa con sei reattori, una autentica bomba nucleare attorno a cui si sparano minacce e colpi di artiglieria. Potrebbe causare danni ambientali simili al disastro di Černobyl’, devastando irrimediabilmente l’area più fertile del “granaio d’Europa” e contaminando le riserve di acqua dolce. Zelensky, “mondo sull’orlo di un disastro nucleare a causa dell’occupazione russa dell’impianto”. Per il Consiglio di sicurezza della Russia, dietro agli attacchi ucraini alla centrale vi sarebbe lo sprone degli Stati Uniti: «In caso di un disastro tecnologico, le sue conseguenze si faranno sentire in ogni angolo del pianeta. Washington, Londra e i loro complici ne avranno la piena responsabilità».
Stati Uniti e Taiwan hanno annunciato che in autunno inizieranno formali negoziati commerciali in undici aree economiche. E i cinesi dopo la visita Pelosi, danno il via due rivendicazioni già note: «non riconoscono la linea mediana nello Stretto di Taiwan, informale ma sinora rispettato confine con la Repubblica di Cina, e reclamano sovranità esclusiva sugli affari interni dell’isola, fra cui rientra la condanna a ogni rapporto diretto e formale tra le autorità straniere e quelle di Taipei», la sintesi di Federico Petroni. Tutti ‘oltre’, sperando di riuscire e fermarsi prima.
L’American Institute di Taiwan, incaricato delle trattative, è sempre più un’ambasciata di fatto. Percolo militare non vicino, stando agli analisti americani, Terzo, impossibile sanzionare la Cina rispetto alla Russia in caso di guerra. «Isolare una monocoltura gas-petrolifera più simile a un paese in via di sviluppo è un conto; prendersela con la locomotiva dell’economia globale è un altro». Per questo nell’Indo-Pacifico l’amministrazione Biden sta promuovendo intese mirate a diversificare e proteggere le filiere produttive.
Il presidente della Serbia Vučić e il primo ministro del Kosovo Kurti a Bruxelles per un nulla di fatto. Le tensioni interetniche sono esplose il 31 luglio 2022, quando la polizia ha chiuso un valico di confine con la Serbia col blocco dei veicoli con insegne serbe. Di fatto, l’ìrrisolta separazione di Mitrovica dal kosovo albanese. “Antichi odi balcanici che ora coinvolgono la filorussa Belgrado e l’atlantista Pristina”. Direttamente toccata da una possibile insurrezione della minoranza serba decisamente poco gradita alla maggioranza alabanese, il coinvolgimento Nato, missione anche la missione Kfor alla quale l’Italia partecipa con 790 militari, il più numeroso del contingente.
Lunedì 15 agosto l’ultimo distaccamento militare francese ha lasciato il territorio del Mali. Ritiro definitivo nello stesso giorno del ritiro americano dall’Afghanistan un anno prima, senza grande clamore. Per Parigi: la perdita di credibilità nella regione del Sahel. Sottrazione di legittimità e di influenza che è andata a vantaggio della Russia. Tanto che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, a poche ore dalla conclusione delle operazioni francesi, si è affrettato a promettere a Bamako «un’assistenza multiforme contro i terroristi di ogni tipo». Il messaggio è chiaro: difenderemo il Mali meglio di quanto abbia fatto la Francia finora, riferisce Agnese Rossi.
Con un margine di circa 200 mila voti, William Ruto è stato eletto presidente del Kenya dopo una settimana dalla chiusura dei seggi. Tre le considerazioni più immediate sul presente e il futuro di Nairobi secondo Luciano Pollichieni. Le elezioni sanciscono la vittoria degli “hustlers” (indaffarati, come Ruto ha ribattezzato i propri sostenitori) contro l’élite. Divorzio tra elettorato e classe dirigente storica del paese rappresentata dai figli dei padri fondatori Raila Odinga e Uhuru Kenyatta. Forse più democrazia, timori per l’economia. 200 mila nuovi posti di lavoro l’anno a fronte di una popolazione che cresce di quasi un milione e una disoccupazione giovanile in aumento assieme all’inflazione. E con la Cina che è primo detentore del debito keniota.