«È il più grande sfollamento vissuto dal popolo palestinese dal 1948». Così ha scritto su X l’agenzia dell’Onu, Unrwa, nata nel 1949 a tutelare il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, per descrivere i primi cento giorni di offensiva su Gaza. «Il popolo delle tende soffre la fame, vive in rifugi affollati, ha freddo, non ha più casa. E muore». Ieri il bilancio delle vittime accertate è salito a 24.285, di cui 158 nelle ultime 24 ore. Sui social i funzionari Onu che riescono a entrare dall’Egitto denunciano: «Alcuni non mangiano da giorni, i bambini non hanno vestiti invernali. La maggior parte dei prodotti non si trova e quelli disponibili costano troppo».
L’agenzia Ocha che fa i conti degli affamati: 378mila palestinesi sono nella fase 5, «catastrofe»; 939mila nella fase 4, «emergenza». L’Oms invece dà conto delle malattie: ora si diffonde l’epatite A per la carenza di acqua pulita e il collasso del sistema fognario.
In questa catastrofe umanitaria provocata a mano armata da uno Stato che si dichiara democratico, l’Unione europea sulla questione israelo-palestinese praticamente assente e comunque ininfluente, con tempismo perfetto, ha inserito il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, nella lista dei terroristi aprendo al congelamento di eventuali beni detenuti nel continente.
102esimo giorno di guerra, per Gaza uno dei più pesanti delle ultime settimane, informa Michele Giorgio da Gerusalemme. Escalation verso l’inferno? Le Forze armate israeliane hanno bombardato in tutta Gaza, da nord a sud. L’avanzata delle truppe israeliane, denunciano i palestinesi, non risparmia neppure gli asili. Incluso quello dedicato a Vittorio Arrigoni, sorto nel 2015 ad Al Burej.
Domenica un video di 37 secondi diffuso da Hamas mostrava le foto di tre degli oltre 130 ostaggi israeliani a Gaza – Noa Argamani, 26 anni, Yossi Sharabi, 53 anni, e Itai Svirsky, 38 anni – ed esortava il governo israeliano a fermare la sua offensiva e a lavorare al loro rilascio. Due giorni fa il movimento islamico ha poi annunciato che Yossi Sharabi e Itai Svirsky sarebbero moti durante la prigionia. A confermarlo sarebbe stata Noa Argamani, l’ostaggio ancora in vita.
132 dei 240 sequestrati il 7 ottobre sono ancora a Gaza e 25 sono morti in prigionia, secondo Tel Aviv – e l’andamento del conflitto continua a spaccare il gabinetto di guerra guidato ancora da Netanyahu. I media locali riferiscono che, mentre il premier e il ministro della difesa Gallant vogliono andare avanti con l’offensiva a Gaza, gli ex capi di stato maggiore e ora leader del partito di Unione nazionale, Benny Gantz e Gabi Eizenkot, sono favorevoli a una trattativa con Hamas che porti alla liberazione degli ostaggi.
Del dramma palestinese a Gaza e Cisgiordania si è parlato anche a Davos, vertice economico di calante autorevolezza. Presenta al forum svizzero il primo ministro del Qatar, Al Thani, impegnato nel negoziato tra Hamas e Israele, ha detto che «senza una soluzione politica a due stati, non ci sono formule magiche che riportino a prima del 7 ottobre». Necessari, dice, cessate il fuoco, rilascio dei prigionieri israeliani e palestinesi e fine dell’occupazione militare dei Territori occupati.
Consapevolezze emergono anche a Tel Aviv. Se, secondo fonti interne, il premier Netanyahu e il ministro della difesa Gallant non si parlano più, scive ancora il Manifesto. E ieri alla ‘Army Radio’ il ministro Sa’ar ha ammesso che no, «Hamas non è stato sconfitto» (ieri, tra l’altro una 50ina di missili sono stati lanciati dalla Striscia verso la città di Netivot). Lunedì era stato il ministro Eisenkot a insistere per un accordo di scambio tra prigionieri e ad accusare il gabinetto di guerra di «mentire a se stesso».
«Del caos interno alla politica israeliana è un segno la rivelazione di Haaretz secondo cui l’esercito sta avvertendo il governo di una ‘imminente implosione della Cisgiordania, chiusa da tre mesi, sottoposta a raid militari e violenze dei coloni, senza quasi più lavoro né in Israele né nelle città palestinesi, divise tra loro e irraggiungibili». Per questo l’esercito avrebbe trasferito una delle unità di élite da Gaza alla Cisgiordania, per prevenire esplosioni di rabbia. «Errore grave» l’ha definito il ministro dell’ultradestra Ben Gvir, sostenitore e organizzatore delle squadre armate dei coloni.