Citando uno scritto di Alessandro Portelli sulle Fosse Ardeatine: «Oggi fascismo vuol dire la legittimazione del potere dei ricchi sui poveri, degli uomini sulle donne, dei bianchi sui neri, del capitale sul lavoro, dei capi sui subalterni, dei colonizzatori sui colonizzati, degli armati sui disarmati, dei proprietari sui profughi e sui senza casa, di chi possiede i media su chi è privo di ascolto, di chi inquina su chi respira (e persino, nella logica reazionaria del codice della strada rivisto da Salvini – dell’automobile sul pedone e sulla bicicletta!)».
Il fascismo, oggi come allora, mostra il ghigno della ferocia sociale, della prepotenza, ma declinato perfettamente su un sistema politico ed economico che non prende bene le distanze da questa ferocia. Che non mostra una visione antifascista, democratica, innervata da una giustizia sociale, basata sull’uguaglianza di diritti e di doveri, che agisce per il bene comune contro la logica reazionaria che vuole sempre e solamente seppellirlo. Insieme al dissenso.
Per questo penso a quanti cedimenti politici e culturali ci sono stati negli ultimi decenni verso una visione del mondo di destra, triste, belluina, razzista, prepotente e incapace di pensare minimamente a una società diversa, più giusta.
Prima che i peggiori alzassero le mani a paletta è stata la parte politica antifascista (non tutta, ovviamente) ad alzarle entrambe a mo’ di resa.
E da qui dobbiamo ripartire. Da che cosa vuol dire essere fascisti o antifascisti adesso. Culturalmente, politicamente, socialmente. Insomma decidere da che parte stare.