
Il generale Amit Sa’ar, capo della ‘Divisione ricerca’ dell’Intelligence aveva scritto ben due lettere-promemoria al Premier, una a marzo e l’altra a luglio di quest’anno, nelle quali lo avvertiva di un gravissimo rischio: «Iran, Hezbollah e Hamas (l’insieme dei nemici dichiarati ndr),vedono l’opportunità di una tempesta perfetta». La tempesta che si addensa e colpisce e fa diventare disastro le fragilità che già c’erano. Sa’ar si riferiva, spiega Haaretz, al fatto che la crisi politica e istituzionale di Israele, diventata anche sociale, stava spingendo i suoi nemici a tentare un’azione militare. Segnali, anche se il generale non specificava dove sarebbe arrivata la ‘sorpresa’.
Lo scenario politico di Israele pre 7 ottobre travolto e messo da parte dai tragici eventi di guerra. La grave crisi politica interna di Israele, esacerbata dalla riforma della giustizia, che ha finito per indebolire un Paese che era già spaccato a metà. Lo scontro tra l’esecutivo di Netanyahu e la Corte Suprema, in cui il governo ‘nazional-religioso’ legato alla Torah ha invaso il terreno laico della magistratura legata alla legge. Oltre ai meschini interessi personali del premier rispetto al vecchio processo per corruzione. Uno scontro che ha visto una forte reazione dei ceti politici più illuminati e, addirittura, dei ‘riservisti’ chiave dell’Aeronautica e dell’esercito. Turbolenze che si sono sommate a un periodo nero nella vita istituzionale dello Stato ebraico, con ben cinque elezioni in pochissimi anni.
Tutto questo ha fatto scrivere a Sa’ar: «Come viene percepito Israele nel sistema regionale? La risposta (che arrivava da intercettazioni, n.d.r.) è che tutti pensano che si trovi in una crisi profonda e senza precedenti, che minaccia la sua coesione e la indebolisce. Specie i nostri principali nemici, l’Iran, Hezbollah e Hamas. Questa debolezza è l’espressione di un processo che termina con il collasso di Israele. E la situazione attuale è un’opportunità per accelerare e approfondire la sua sofferenza».
Ma c’è di peggio. Agli avvertimenti dell’Intelligence militare si erano uniti pure quelli del Ministro della Difesa, Yoav Gallant. In un primo momento, d’impeto, Netanyahu ha pensato bene di licenziarlo. Ma poi, di fronte alle vibranti proteste popolari, ha ritirato la sua decisione. Tollerandolo. E oggi, tanto per capire la situazione, Gallant è uno dei tre ‘supergenerali’ (assieme a Benny Gantz e Gadi Eisenkott) che di fatto guidano il Gabinetto di guerra, e in guerra interna con lo stesso Netanyahu. Questo, a spiegare in parte la irrazionalità strategica di molte recenti decisioni prese dalle autorità ebraiche a Gaza.
L’analisi di Sa’ar come scenario predittivo di lungo periodo e, proprio per questo, diventa ancor più imperdonabile il fatto di averla trascurata. La convergenza di più fattori, secondo il generale, ha contribuito ad alzare la soglia di rischio: la debolezza interna di Israele, la concomitanza di altri crisi internazionali e l’aumentata motivazione di Hamas «ad effettuare attacchi dal Nord». Cioè dal Libano, assieme a Hezbollah. Leggendo attentamente i resoconti di Haaretz, il tallone d’Achille di tutta l’indagine di Sa’ar è proprio questo: Gaza sembra quasi marginale mentre i nemico chiave viene individuato a nord .
I pericoli sono tutti correttamente ipotizzati, ma vengono dalla parte opposta anche se comprendono anche la Jihad Islamica e la Cisgiordania. Tuttavia, a parte le eventuali (mancate) ricadute operative sul terreno militare, i promemoria di Sa’ar colpiscono anche per la visione grandangolare, riflettendo aspetti che coinvolgono relazioni essenziali per il suo Paese. «L’Autorità nazionale palestinese – scrive – riconosce la combinazione dell’immagine eccezionalmente negativa di alcuni membri del governo sulla scena internazionale. E inoltre vede l’erosione della democrazia e del sistema giudiziario israeliano come una reale opportunità per aumentare la sua pressione in campo internazionale».
In definitiva, però, è nella seconda lettera a Netanyahu che il generale manda un avviso perentorio «su ciò che tramano i nostri nemici». Cita Gaza, anche se la sua maggiore preoccupazione è sempre rivolta a Hezbollah e all’Iran, ma soprattutto avverte sulla perdita di credibilità e quindi della ‘capacità di deterrenza israeliana’.
Deterrenza che si fonda su tre pilastri: l’alleanza con gli Stati Uniti, la potenza dell’esercito e la coesione della società. I primi due ritenuto fuori discussione ,anche se oggi ad immagine un po’ appannata. Al terzo, secondo noi, Netanyahu e i suoi alleati ‘nazional religiosi’ hanno dato un colpo quasi mortale, decisamente difficile da riparare.