
Il Financial Times riporta una notizia che fa riflettere e che riguarda l’effetto boomerang, sull’Europa, delle sanzioni imposte alla Russia. Putin taglia il flusso di gas diretto nel Vecchio continente e lo spedisce in Cina. Pechino usa ciò che le serve, e la rimanente la rivende all’Europa. A caro prezzo. Nei primi 6 mesi di quest’anno, Mosca ha incassato qualcosa come 1,66 miliardi di dollari, piazzando il suo gas (che era destinato all’Europa) in Cina. Quindi, l’Unione si ritrova con le pipelines bloccate da Mosca e deve invece comprare il gas, via nave (quindi, liquido per poi rigassificarlo) dalla Cina. Sembra una barzelletta.
Si stima che nei primi 6 mesi del 2022, la Cina abbia venduto in Europa almeno 4 milioni di tonnellate di GNL, equivalenti al 7% dell’intero volume dell’import. Ciò è stato possibile dal rallentamento dell’economia, dovuto in gran parte alla strategia “zero covid” voluta da Xi Jinping. Il blocco del porto di Shanghai e il fermo, significativo, della catena degli approvvigionamenti, hanno richiesto alla macchina produttiva cinese meno energia. Ma con la ripartenza a pieno regime del sistema-paese, il colosso asiatico riprenderà a sfruttare avidamente tutte le risorse disponibili. Compreso il carbone. Quando le risorse sono carenti, però, la globalizzazione diventa una giungla e andare avanti significa lottare per sopravvivere.
In questa fase, l’Europa è stata colta alla sprovvista dalle ripercussioni devastanti della crisi ucraina. Rispetto a un anno fa, nei gasdotti scorre l’80% di energia in meno. Se Putin dovesse bloccare completamente il restante 20% di flusso, i Paesi dell’Unione, come scrive FT, dovrebbero procurarsi immediatamente il gas con contratti “a pronti”. Quello che trovi sul mercato giorno per giorno. Cosa impossibile. Il leader del Cremlino usa il gas come arma di ricatto e si può permettere di giocare come il gatto col topo. Perché in quest’anno, fino a luglio, solo col petrolio, ha incassato 75 miliardi di dollari. E un’altra ventina li ha fatti col gas.
Esporta solo 600 mila barili di greggio al giorno meno di quello che vendeva prima delle sanzioni. Quanto? Un’enormità: 7, 4 milioni di barili/die. E quello che non vende più in Occidente, lo colloca negli altri ¾ del pianeta, dall’Asia, all’Africa, fino, udite udite, al Medio Oriente.
Dunque, secondo il Wall Street Journal, Putin vende il suo petrolio anche ai sauditi e agli Emirati arabi, con una partita di giro degna di James Bond. E facendo fessi proprio gli americani e le loro sanzioni, che fanno acqua da tutte le parti. Così, per restare in tema, finiamo con la riflessione sull’argomento, proposta dal Financial Times: “Più l’Europa diventa disperata riguardo alle sue forniture energetiche, più le decisioni politiche della Cina avranno il potere di influenzare il Vecchio continente. Mentre l’Europa tenta di uscire dalla sua dipendenza dalla Russia per l’energia, l’ironia è che sta diventando sempre più dipendente dalla Cina”.
L’altalena del prezzo del gas in Europa ci dice una sola cosa, chiare e inequivocabile: la sciagurata invasione russa dell’Ucraina è solo una parte del problema. L’altra storia è che, sfruttando la guerra e le conseguenti sanzioni, una congrega internazionale di rapaci speculatori ci sta mangiando sopra. Sul mercato libero di Amsterdam, dove vengono fissati i prezzi, la “logica” che li determina non ha niente di commerciale. Funziona come un totalizzatore ippico, una sala-corse in cui si scommette, comprando in anticipo e facendo salire repentinamente le quotazioni. Putin c’entra, ma fino a un certo punto.
Come si spiega, se no, il fatto che i prezzi siano “crollati” (si fa per dire) in un paio di giorni di ben 175 euro al Megawattora (una variazione folle), nonostante la chiusura del Nord Stream 1? Appunto, non si spiega. A meno di non aprire finalmente gli occhi, per cominciare a capire come funzioni questo tragico teatrino.
La Russia ha scassato tutto, alterando equilibri consolidati da decenni. Nella voragine che si è creata, si è poi imbucata la grande speculazione internazionale. E stiamo parlando solo di energia. Perché lo stesso discorso si può fare per l’industria degli armamenti (i cui volumi di produzione stanno crescendo in maniera esponenziale) e di certi tipi di materie prime e di semilavorati ad alto valore aggiunto o con caratteristiche di elevata tecnologia.
Ma fermiamoci al gas, per ora, perché le notizie che arrivano non sono sempre “cristalline” o facilmente interpretabili. Anzi, spesso non ci arrivano proprio.