
Ieri la magistratura di Teheran ha reso noti i risultati degli esami di medicina forense relativi a Mahsa Amini, morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non rispettava il severo codice di abbigliamento della Repubblica islamica. Secondo le autorità iraniane, il decesso della 22enne sarebbe dovuto alle «conseguenze di un’operazione al cervello per un tumore all’età di otto anni».
Nel caso della sedicenne Nika Shakarami morta durante le proteste innescate il 17 settembre ai funerali di Amini, scopriamo nel certificato di morte ottenuto dai reporter di Bbc Persian si legge che il decesso sarebbe dovuto a «ferite multiple causate da percosse con un oggetto duro». La versione ufficiale della magistratura di Teheran è invece che sia morta «dopo essere caduta da un edificio».
Terza vittime tra le ormai decine e decine di morti, diventata a sua volta simbolo nelle proteste a Karaj, a est della capitale, la sedicenne Sarina Esmailzadeh, uccisa dalle ‘forze sicurezza’ –ironia tragica -, e potere senza vergogna. Secondo la magistratura, la ragazza si sarebbe «buttata da un edificio».
Dunque, sulle cause dei decessi di Mahsa, Nika e Sarina le autorità mentono spudoratamente. Ma questa volta, diversamente che ancora nel recennte passato, le famiglie non si arrendono e fanno sentire la loro voce attraverso il canale in persiano dell’emittente britannica Bbc e attraverso Radio Farda, canale finanziato dagli Stati Uniti e con sede a Praga.
In Iran l’accesso a Internet resta limitato: nel pomeriggio rallenta e la sera si blocca del tutto per impedire ai manifestanti di coordinare le proteste. Instagram e WhatsApp sono inaccessibili. E per chi non ha accesso alle reti VPN, che garantiscono anonimato e sicurezza, o l’informazione di regime o il passaparola.
«Ieri mattina da diverse fontane di Teheran sgorgava acqua rossa come il sangue, a simboleggiare la violenta repressione. Le autorità municipali l’hanno fatta defluire, ma del rosso resta traccia sia nelle fontane sia nelle immagini pubblicate in rete.
Soltno pochi giorni fa la Guida suprema Ali Khamenei aveva elogiato esercito e polizia per avere contenuto le proteste. E ieri i vertici di entrambe le strutture armate hanno rinnovato la propria fedeltà con una dichiarazione congiunta: «Sotto la tua guida e fino all’ultima goccia del nostro sangue e fino al nostro ultimo respiro, distruggeremo i maligni complotti orditi dai nemici giurati della Rivoluzione islamica».
Le scuole il focolaio della protesta, e i contestatori sempre più giovani. «È la resilienza di quella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni che rappresenta il 14 percento della popolazione della Repubblica islamica. Un paese che, con un tasso di fertilità attorno ai due figli per donna, il più basso del Medio Oriente, ha un’età media di 32 anni».
La generazione più numerosa – metà della popolazione – è quella tra i 25 e i 54 anni, spiega Farian Sabahi. Poco per volta, complici le politiche di controllo delle nascite, l’Iran sta invecchiando, come in Europa. Ed ecco perché alle proteste di queste settimane partecipano generazioni diverse, ognuna con qualcosa da rivendicare.
I più giovani un futuro che non sia fatto di limitazioni delle libertà e disoccupazione dopo anni di studio. Gli adulti, la possibilità di invecchiare senza dover fare la fame dopo anni di lavoro.
Sempre il Manifesto Intervista la ricercatrice Minoo Mirshahvalad che si occupa di diritto sciita, e rapporti di genere in Italia e in Iran. La quale sottolinea come non solo in Iran, ma in altre realtà le religioni sono ridiventate platealmente strumento politico, incardinato su un fondamento patriarcale. «Molti/e giornalisti e politici denunciano la teocrazia iraniana, ma non ne traggono le conseguenze di un dominio patriarcale».
«La teocrazia è la più brutale truffa che l’essere umano abbia mai creato che mira a perpetuare la subordinazione di quei ceti sociali che, per il loro aspetto minoritario, non hanno potuto costruire legami di parentela con il presunto Dio che governa. Nel mondo islamico, sin dal settimo secolo del calendario gregoriano, i ‘vicari’ di Dio o del profeta sono stati sempre gli uomini».
Lo slogan lanciato dal movimento di liberazione curdo che sembra sia stato coniato da Abdullah Öcalan. Mahsa Amini, il simbolo delle attuali rivolte, era curda.