
La riforma delle pensioni a 64 anni è approvata nella sostanza, mentre la domanda di referendum è respinta. È la sentenza del Consiglio Costituzionale, presieduto dall’ex primo ministro socialista Laurent Fabius. «La decisione dei saggi è una bomba sociale, come benzina per l’Atto II della protesta –avverte Anna Maria Merlo sul Manifesto-. Più di 130 manifestazioni erano in corso ieri pomeriggio in tutta la Francia, in attesa del Consiglio Costituzionale. Alla comunicazione della decisione, le piazze sono esplose, con alcuni scontri in serata in varie città e repressione della polizia».
Per il referendum presentato dalla sinistra resta aperto uno spiraglio: una seconda domanda di referendum è stata presentata giovedì, giuridicamente redatta meglio della prima, il Consiglio Costituzionale ha fatto sapere che la decisione sarà resa nota il 3 maggio prossimo.
La prima ministra, Elisabeth Borne, prova inutilmente a gettare acqua sul fuoco ben sapendo che a ulteriore esplodere della crisi, la prima testa a cadere sarebbe la sua. «Né vincitori né vinti, il testo di legge arriva alla fine del processo democratico», e qui inciampa nella presa in giro col voto parlamentare impedito. Da destra istituzionale invece sostegno alla presidenza: «Macron dovrebbe promulgare la legge in tempi brevissimi».
I sindacati hanno fatto sapere che non andranno a nessuna «riunione con l’esecutivo prima del giorno della Festa del lavoro e sostengono ‘azioni e scioperi’ decisi localmente nell’immediato. Il rifiuto della pensione a 64 anni resta radicale». La condizione posta dai sindacati resta la non promulgazione della legge: ipotesi irrealistica, salvo che il presidente non ripresenti il testo di legge all’Assemblée nationale per una nuova discussione e un voto. Poco meno che delle dimissioni.
Il consiglio Costituzionale ha comunque sottolineato il «carattere inabituale dell’utilizzazione di vari articoli della Costituzione per arrivare all’approvazione della riforma», precisa Filippo Ortona. Tempo dei dibattiti strangolato, approvazione al Senato per passare con un solo voto, bloccato il voto all’Assemblée nationale.
Cortei spontanei nella notte, cumuli di spazzatura dati alle fiamme, cassonetti rovesciati, barricate improvvisate e interventi muscolari della polizia con la ‘famigerata Brav-M’ in azione. Nel giorno del verdetto dei «saggi» Parigi ribolle di rabbia, giovane soprattutto. «Al Consiglio [costituzionale] ci stanno dei vecchi borghesi / che decidono al posto tuo», canta la folla sotto gli ombrelli, riunita nel piazzale davanti al comune di Parigi, in quella ch’era anticamente chiamata place de Grève, dove si scaricava la sabbia, e da dove viene il termine francese per la parola «sciopero».
Le migliaia di manifestanti accorsi all’appello dell’intersindacale sembra non si aspettassero niente di diverso dal verdetto del Consiglio costituzionale che ha dato il via libera alla riforma delle pensioni di Macron.
«Nessuna sorpresa» per l’annuncio dei cosiddetti ‘saggi’. «Più che saggi sono dei vecchi destri che decidono per milioni di persone». «Nessuno vuole questa riforma. C’era una crisi sociale, sfociata in una crisi democratica, e ora siamo ben avviati verso una crisi di regime». «La classe operaia francese s’è svegliata e ora tutto il mondo ci guarda. Puoi scommetterci che non lasciamo perdere». Davanti agli uffici della mairie de Paris, la distanza tra la piazza e le istituzioni francesi non è mai sembrata così siderale.
«È da gennaio che facciamo scioperi, blocchi, azioni, cortei… Alcuni di noi sono a 25 giorni di sciopero, che sono un sacco di soldi in meno in busta paga, senza contare la fatica. Teniamo il movimento da mesi, i nervi sono tesi come non mai. E quando si sta coi nervi tesi, eh, può succedere che accada il débordement…». Déborder, tracimare, la parola è ora sulla bocca di tutti.