La guerra diventa ‘civile’ quando il peggior nemico lo scopri in casa

La distinzione tra guerra esterna e guerra civile è molto antica: risale almeno a Platone (IV secolo a.C.) che definì ‘polemos’ la guerra contro gli stranieri e ‘stasis’ la guerra tra cittadini appartenenti alla stessa comunità. Ad un certo punto – nonostante la convivenza precedente – in un stato o in una regione esplodono tensioni incontrollabili tra due o più gruppi che sfociano in un aperto conflitto.
Dal greco di Platone alla molto meno nobile attualità di un inaccettabile Netanyahu nella stessa Israele, o un incerto Zelenzsky nell’Ucraina sempre più sola, o l’America paranoica di Biden e di Trump, di ciò di cui si accusano e di come si contrappongono le opposte tifoserie. Ed ecco che ragionare sulle guerre civili di un ieri neppure troppo lontano, diventa utile riflessione. ‘C’era una volta’, ma non è detto che non ci sia mai più.

Francia, la presa delle Bastiglia

Le guerre civili inglesi

Tra il 1455 e il 1485 l’Inghilterra fu sconvolta dalla ‘guerra delle due rose’, un conflitto dinastico tra le famiglie dei Lancaster e degli York che vantavano entrambe diritti al trono. Alla fine prevalse una terza famiglia, i Tudor, che però – pur derivando dai Lancaster – aveva accolto al proprio interno anche appartenenti agli York. Un grande romanzo storico di Walter Scott trasformò in epopea romantica decenni di intrighi, assassini e tradimenti, ma questo avvenne solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
Molto più combattuta fu invece la ‘guerra civile’ dal 1642 al 1651 contro l’assolutismo monarchico: si concluse con la vittoria dell’esercito parlamentare e la decapitazione dello sconfitto re Carlo I, ma nel 1658 fu restaurata la monarchia e messo sul trono Carlo II, figlio del defunto re (oggi siamo a Carlo III). Il parlamento però rimase al suo posto e la monarchia condusse una politica più tollerante. Non è affatto casuale che, a conclusione di questo turbolento periodo, lo storico e filosofo inglese Thomas Hobbes abbia teorizzato il ruolo dello Stato come principale regolatore per evitare ‘le discordie civili’ anche a costo di ridurre alcune libertà dei cittadini.
Le eredità e le interpretazioni culturali di queste due guerre civili combattute nello stesso paese sono assai diverse, ma importanti: nella prima prevale la fine di una visione cavalleresca e medioevale dei rapporti tra re e feudatari, ma nella seconda si manifesta già un’organizzazione dei poteri alla base dello stato moderno, ovvero una transizione.

La rivoluzione francese

Il 14 luglio 1789 a Versailles un cortigiano si presentò a Luigi XVI per annunciare la presa della Bastiglia. Lo sconcertato sovrano chiese allora se si trattasse di una rivolta, ma gli fu pacatamente risposto: «No, maestà, è una rivoluzione». Quasi certamente entrambi non immaginavano quanto sarebbe ancora accaduto negli anni successivi. Mentre la rivoluzione stava cambiando radicalmente la Francia e ben presto si sarebbe estesa anche al resto d’Europa, cominciarono fortissime resistenze interne che si trasformarono in aperta ribellione, come nel caso delle guerre in Vandea.
Sebbene si sia parlato a lungo di contro-rivoluzione o di cospirazione monarchica appoggiata dagli inglesi – aspetti comunque innegabili –, solo recentemente ai fatti della Vandea è stato riconosciuto il carattere di guerra civile. Una caratteristica fu proprio la durezza estrema degli scontri accompagnata dall’alto numero di vittime provocato dalla repressione. La Vandea, seppure in tono minore, tornò ad agitarsi verso le fine dell’impero napoleonico e nel 1830, quando con la cosiddetta ‘monarchia di luglio’ la Francia si avviò verso un ordinamento costituzionale.
Una stima recente – basata sui dati della popolazione prima e dopo le guerre ricavati dai registri delle nascite – ha rilevato una differenza di circa centodiecimila persone tra l’inizio e la fine dell’insurrezione. I metodi terroristici utilizzati contro gli insorti scossero già all’epoca l’opinione pubblica francese e perfino un rivoluzionario convinto come Babeuf ebbe parole di critica e di condanna.

Il XX secolo

Il XX secolo è stato definito uno dei secoli più violenti della storia dell’umanità e accanto a due guerre mondiali vi furono numerose guerre civili in tutto il mondo. Solo rimanendo in Europa, dopo la Prima Guerra mondiale, conseguenza diretta della rivoluzione d’Ottobre, vi fu un breve conflitto in Finlandia, mentre in Russia la guerra civile si concluse solo nel 1921.
Particolarmente sanguinoso e intimamente fratricida dal 1922 al 1923 fu il conflitto che scoppiò in Irlanda tra il governo provvisorio e l’esercito repubblicano irlandese che non accettava l’accordo con la Gran Bretagna.
In Spagna, dal 1933 al 1936, la lotta tra la repubblica e gli insorti appoggiati dai regimi nazi-fascisti anticipò gli schieramenti della Seconda Guerra mondiale tra democrazie e dittature, ma rappresentò anche un banco di prova dei bombardamenti aerei sulla popolazione civile.
Dopo la Seconda Guerra mondiale in Grecia invece si confrontarono duramente il movimento di resistenza di ispirazione comunista e il nuovo governo monarchico, ma il secolo si concluse con un massacro del decennio balcanico che riassunse in sé le caratteristiche della guerra civile e della guerra etnica.

Asia ed Africa

L’interpretazione delle guerre civili come gravi crisi di fronte ai cambiamenti è rafforzata in particolare da quanto accadde soprattutto dopo le decolonizzazioni, ovvero il raggiungimento dell’indipendenza da parte dei nuovi stati asiatici od africani. All’interno si accesero – con notevole frequenza – conflitti interni, anche se non mancarono appoggi e influenze da parte di stati occidentali.
L’indipendenza dell’India fu accompagnata da gravi turbolenze durante la spartizione con il Pakistan. La Birmania, che ottenne l’indipendenza dal 1948, fu ciclicamente terreno di scontro tra fazioni e sembra ancora oggi lontana dalla stabilizzazione. Per quasi un decennio, dal 1961 al 1969, il Congo fu devastato dalla lotta per portare prima al potere Mobutu Sese Seko e successivamente dalla rivolta dei mercenari europei che appoggiavano i katanghesi.
In Nigeria, dopo la lotta per l’indipendenza del Biafra alla fine degli anni Sessanta, continuano violenze etniche e religiose. In Senegal periodicamente esplodono violenze suscitate dal movimento indipendentista della Casamance, anche se attualmente è in vigore un cessate il fuoco. Per non parlare di Libia, Yemen e Paesi del Sahel, che lasciamo all’attualità.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro