Guerra instagrammabile

Com’è la guerra ai tempi del selfie? Brutta come sempre, dice crucciato il barbiere anarchico, mortifica la vita, la toglie, la strazia, crea desolazione e anima la ferocia umana che sotto una divisa tende a darsi una giustificazione morale, accompagnata da arrampicate semantiche sugli specchi.

Brutta e drammatica come sempre, soprattutto quando asimmetrica. Quando non si sfidano due eserciti, ma un esercito combatte contro una popolazione inerme. Combatte, per modo di dire… Ammazza, incarcera, tortura, demolisce case, distrugge strade, abbatte scuole. Rade al suolo un paese, senza porsi il dubbio delle vittime civili, senza neanche perdere tempo nel definirle con una connotazione accettabile al cittadino medio, quello indifferente che si accontenta di sentir dire: danni collaterali.

Ai tempi del selfie, l’inferno umano diventa un sorriso. Un divertimento di aguzzini che non contenti di massacrare senza vincoli ritengono loro dovere di soldati-social dare testimonianza pubblica dell’abominio. Così, oltre ai video dei cecchini osceni che a caso giocano al tiro a bersaglio con bambini, donne, persone che cercano acqua e cibo in una situazione disperata, ci sono quelli di Instagram in cui i soldati si gloriano delle efferatezze. Con leggerezza. Festeggiando in diretta-video con i commilitoni (quattro, tre, due, uno, bum!) l’abbattimento di palazzi, la morte celata nel polverone delle macerie. Chiedendo la mano della fidanzata sulle rovine di una scuola o di un ospedale. Dedicando alle figlie per il compleanno l’abbattimento di una casa a Gaza. Distruggendo giocattoli palestinesi, così tanto per fare qualcosa per acchiappare like. Fotografandosi sulle rovine della moschea appena abbattuta, scrivendo che sarebbe nato in quel posto un tempio.

Crudeltà nella crudeltà. La banalità del male si esercita sempre nello stesso modo. Gli aguzzini, i massacratori, gli esecutori pensano di essere nel giusto obbedendo a ordini orripilanti e assassini, pensano che dall’altra parte della canna del proprio fucile non ci siano uomini, donne, bambini inermi, persone che cercano di vivere, di amare, di avere una casa, un riparo. Gli aguzzini, i massacratori, gli esecutori pensano che il nemico non sia un essere umano; sono imbevuti da ideologie criminali che deumanizzano il nemico. Lo rendono un niente da eliminare senza scrupoli.

Tra un selfie e un senso di impunità che fa rabbrividire.
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