Ora i miliardi di armi Usa all’Ucraina arrivano sulla scia di quelli a Taiwan

Taiwan come l’Ucraina. Secondo il Financial Times, la Casa Bianca chiederà al Congresso di finanziare la fornitura di armi per Taiwan come parte della richiesta di bilancio supplementare per l’assistenza all’Ucraina. Una a coprire l’altra, in una confusione di priorità condizionate dalla politica di casa.
Sui continui esborsi per aiutare Kiev cominciano a criticare parecchi Repubblicani, mentre sugli aiuti a Taipei, la politica americana è sostanzialmente allineata. Ma quale è il vero fronte politico-militare Usa prioritario oggi?

Office of Management and Budget

Prima Taiwan. Sarà l’Office of Management and Budget, a elaborare la richiesta, come parte di uno sforzo ‘di somma urgenza‘, per la sicurezza dell’isola cinese, che gode di uno status di autonomia messo in pericolo dalle minacciose pretese di riunificazione da parte di Pechino. E per la prima volta, le armi e gli equipaggiamenti non vengono venduti a Taiwan, ma ‘forniti’. Cioè, li pagano i contribuenti americani. Una rivoluzione, che fa salire di livello le tensioni geopolitiche e il coinvolgimento militare degli Stati Uniti nel Mar Cinese meridionale. Un’area dove Biden non arretra di un millimetro e nella quale sta ponendo le basi per una progressiva escalation dalle imprevedibili conseguenze. Addirittura, il Presidente ha imposto la cessione di armi ad alta tecnologia, già presenti come scorte nei magazzini dell’US Army. Il tutto, approvato l’anno scorso, per un totale di circa un miliardo di dollari. Adesso, ne è stata liberata una prima tranche di 345 milioni di dollari.

Beacon Global Strategies

Secondo Eric Sayers, di Beacon Global Strstegies, un think-tank di consulenza di Washington, proprio l’utilizzo dello strumento amministrativo definito ‘autorità presidenziale di ritiro‘, impiegato dalla Casa Bianca per accelerare i tempi, dimostra il repentino cambio di approccio del governo Usa, che sta equiparando la crisi del Mar Cinese meridionale a quella ucraina. Ma, in ogni caso, si tratta di un’operazione che paga, politicamente, perché consente, sfruttando la crisi di Taiwan, di riunire un fronte bipartisan, che invece manca sull’Ucraina. Un esempio che la tattica funziona? Raja Krishnamoorthi, l’esponente democratico di punta del ‘Comitato China’ della Camera, ha esultato: «Le raccomandazioni del Comitato bipartisan per l’autodifesa di Taiwan – ha detto – richiedevano di accelerare la fornitura di strumenti critici (armi, n.d.r.) per la deterrenza. Ebbene, mi congratulo con gli importanti passi che il Presidente Joe Biden ha compiuto in linea con tali raccomandazioni».

Contro la Cina America bipartisan

La stessa musica si è alzata dal campo repubblicano, a dimostrazione che su Taiwan le iniziative della Casa Bianca trovano davanti un’autostrada. Semmai, Michael McCaul, leader GOP alla Commissione esteri della Camera, dopo aver prima lodato Biden, per il massiccio trasferimento di armi verso Taipei, ha poi finito per accusare: «Questo aiuto sta arrivando troppo in ritardo e la Cina è sempre più aggressiva». Tuttavia, pur denunciando diversi errori nella conduzione della politica estera americana nell’ultimo biennio, il fronte repubblicano riconosce che, in questa fase, Biden sta andando concentricamente all’assalto della Cina. Non sempre con successo, è ovvio. Ma l’attività di ‘conteinment’ diplomatico degli Stati Uniti è frenetica. In alcuni casi, addirittura provocatoria. Blinken e Llòyd Austin hanno appena visitato l’Australia, per chiudere il cerchio di una ‘Linea Maginot’ Indo-pacifica, da utilizzare come cordone sanitario per bloccare sul nascere tutte le velleità espansionistiche di Xi Jinping.

La Trilaterale asiatica

Qualche giorno fa, a Camp David, nel Maryland, è stato siglato un significativo patto trilaterale, col quale Usa, Giappone e Corea del Sud si impegnano ad armonizzare i loro sistemi di sicurezza nazionale. Non solo, ma prevedono di intervenire militarmente con le loro forze armate se uno degli altri due Paesi dovesse essere trascinato in una guerra in Asia. Cioè, dall’Oceano Indiano (che parte dal Golfo Persico) fino al Pacifico (ossia per capirci, compresa la California). Washington ha anche massicciamente aumentato la sua presenza militare nelle Filippine, organizzando esercitazioni navali miste in direzione di Taiwan. Il riposizionamento di Biden rispetto alla Cina, per certi versi molto più duro di quello che aveva adottato Trump, però si gioca anche su un altro versante. Quello del ‘contenimento’ tecnologico del colosso asiatico e dell’assoluta priorità strategica, di salvare il primato mondiale taiwanese nel vitale settore dei semiconduttori di ‘fascia alta’.

Nessun tabù ideologico ma potere

Gli Stati Uniti non fanno dell’indipendenza di Taiwan un tabù ideologico. Nella loro storia hanno chiuso gli occhi su sopraffazioni peggiori. No, sono i supermicrochip di Taipei che devono restare ‘liberi’, senza cadere nelle mani di Pechino, che li userebbe per massimizzare la produttività del suo sistema e per scavalcare l’America, come prima potenza economica del pianeta.

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