
A due giorni dalla proclamazione di Lula presidente, Bolsonaro ha finalmente rotto il silenzio, incontrando ieri i giornalisti. Parla e non dice nulla di quanto il mondo si aspetta di sentire. Il presidente uscente non ha mai citato Lula e non ha ammesso la sconfitta. Piuttosto, ha giustificato le proteste – provocate, a suo dire, da «un sentimento di indignazione e di ingiustizia per il processo elettorale». Poi, per fare l’uomo di Stato, a condannato i blocchi stradali che hanno paralizzato il Brasile, invitando i suoi sostenitori a manifestare in modo pacifico: «Capisco le proteste, ma non usiamo metodi di sinistra», ha detto il leader della destra, ringraziando «i 52 milioni di elettori che mi hanno votato».
Per un giorno, il Brasile stato paralizzato da migliaia di camion che bloccano decine di autostrade in tutto il Paese, in particolare le grandi arterie che portano agli aeroporti, ai porti o che uniscono le metropoli. Snodi strategici ben studiati chi volesse tentare un colpo di stato, temuto in molte cancellerie, e comunque assaggio di una difficile transizione nell’enorme Paese segnato da gravi difficolta sociali ed economiche e di fatto diviso politicamente a metà.
In piazza, anzi, in trincea, i «bolsonaristi» che rifiutano la vittoria di Lula per un pelo, e aspettavano un segnale dal ‘Capitano Bolsonaro’. L’ex capitano, per due giorni si è barricato nei due Palazzi di Brasilia – l’Alvorada dove vive e il Planalto dove ha gli uffici. Finché, ieri pomeriggio ha convocato una riunione d’urgenza di alcuni ministri e generali, a fare aumentare le paura di molte diplomazie che sapevano e vedevano, in un clima di crescente confusione e incertezza.
Più che un golpe, il rischio è di una guerra civile fra le frange estreme di un popolo spaccato in due. Da un lato i ‘bolsonaristi’ che bloccano le strade, animati anche dal silenzio di Bolsonaro, e sui social diffondono fake news di complotti elettorali e dall’altra, migliaia di militanti del Movimento dei lavoratori senza tetto che si sono mobilitati per rimuovere le barricate, spesso con scontri fisici diretti. Ma la linea ufficiale della sinistra verso il governo è quella di non raccogliere le provocazioni dei bolsonaristi.
Il segretario generale del Partito dei lavoratori, Paulo Teixeira, ha accusato Bolsonaro di tenere il Paese sotto ricatto, aggiungendo che il suo comportamento conferma la «mancanza di rispetto verso le istituzioni democratiche». Finora, in assenza di qualsiasi azione da parte del governo Bolsonaro, è toccato al Tribunale Supremo Federale tentare in ogni modo di fermare le proteste che paralizzano il Paese. Il giudice Moraes ha dovuto intimare al capo della polizia stradale – che alla vigilia delle elezioni aveva invitato a votare Bolsonaro – di far sgomberare subito i mezzi, altrimenti sarebbe stato licenziato. Solo allora la polizia ha cominciato a far sfollare i dimostranti, ma i posti di blocco si sono subito riformati altrove.
Da parte loro, i governatori statali più vicini a Bolsonaro hanno fatto uscire la polizia militare, facendo subito temere un’analoga mossa del presidente a livello federale.
Secondo alcune fonti molti collaboratori di Bolsonaro hanno cercato di convincerlo ad accettare la sconfitta e a porre fine alla protesta dei camionisti. Molti temevano ancora che voglia imitare fino in fondo il «cattivo maestro Donald Trump che resistette settimane nel rifiuto».
La tensione è andata via via crescendo, e ancora oggi manca l’accettazione formale della sconfitta da parte di Bolsonaro. Ma gli analisti –riferisce Sara Gadolfi sul Corriere della Sera, tendono ad escludere la possibilità di un golpe. Probabilmente un tentativo di farlo, sostiene Claudio Coto, politologo della Fundaçao Getulio Vargas. «Non ha l’appoggio dei settori più importanti del sistema politico e dei media. E non sembra avere il sostegno dei militari. Secondo me, tenta di creare le condizioni per ordinare una cosiddetta “Operazione di Legge e Ordine”, ossia chiedere l’aiuto dell’esercito nelle strade».
Con i soldati nelle piazze tutto può succedere. «Ma credo che le forze armate non appoggerebbero un simile tentativo. Sarebbe molto costoso, perché non c’è l’appoggio sociale per azioni simili. Bolsonaro è isolato con i suoi camionisti ribelli e alcuni politici più radicali», conclude il professore. Sperando abbia davvero ragione.