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La sfida tra il presidente uscente Milo Djukanovic e il giovane economista Jakov Milatovic. Uno scontro che è anche generazionale tra il 61enne capo dello stato in carica, veterano della politica montenegrina ai cui vertici è da un trentennio, sia come presidente sia come capo del governo, e il 37enne esponente di un nuovo corso che intende svecchiare e rinnovare la politica e la vita sociale nel piccolo Paese balcanico di ‘cugini slavi’, montegrini e serbi, spesso in lite.
Al primo turno del 19 marzo scorso Djukanovic, leader del Partito democratico dei socialisti (Dps), ha ottenuto il 35,37% dei voti, mentre a Milatovic, candidato del Movimento Europa ora (Pes), è andato il 28,92%. Entrambi si dicono certi della vittoria oggi, con il giovane sfidante fiducioso in un forte recupero potendo contare sull’appoggio annunciato da tutti gli altri 5 candidati in lizza al primo turno.
Per Milatovic la parola d’ordine è ‘mandare in pensione Djukanovic’, ritenuto responsabile di una lunga stagnazione politica, economica e sociale in Montenegro, e del fiorire di corruzione e criminalità. Nei suoi appelli agli elettori, Milatovic invita a fare la scelta giusta fra coloro che hanno spinto il Paese nella stagnazione e nella sfiducia e quelli che garantiscono un futuro migliore e una prospettiva di reale crescita e progresso.
Djukanovic dal canto suo punta sui risultati ottenuti dal Montenegro durante la sua lunga leadership, con l’adesione alla Nato (nel 2017) e con il negoziato che ha portato il Paese vicino all’adesione alla Ue. Un obiettivo quest’ultimo tuttavia che negli ultimi due-tre anni sembra essersi allontanato a causa della forte instabilità politica che ha investito il Paese dopo le ultime elezioni parlamentari dell’agosto 2020, grossi problemi di credibilità internazionale e corruzione diffusa. Con l’Unione Europea sempre più miraggio.