Sette parole

Bastano sette parole per raccontare un mondo, per presentarsi in modo non banale, per dire qual è la propria storia, quale il vissuto, in che punto si poggia il desiderio.

Questa riflessione nasce da un’esercitazione fatta con i ragazzi dell’università di Siena che dovevano scrivere accanto al loro nome le sette parole delle loro origini. Senza troppi vincoli. Senza dire: sono nato a Empoli il dieci agosto. O: vengo da un posto baciato dal sole. Veniva richiesto un atto poetico, un fuoco dell’anima per entrare fuori e uscire dentro, in un progetto nato per non dimenticare voci, dolori, memorie e segni dell’ex ospedale psichiatrico San Niccolò che oggi ospita alcune facoltà universitarie.

Sembrava una follia, è stata una meraviglia.

Tutti, dai docenti agli studenti si sono messi in gioco, per posizionare sulla mappa delle nostre vite, dei nostri luoghi di nascita, di appartenenza, di passaggio o di arrivo, la traccia poetica delle sette parole. Nel dono dell’incontro. Dell’ascolto, del cogliere il suono di questi versi, nel vedere oltre l’invisibile, inciampando nello sguardo dell’altro. Per ricordare, riportare al cuore, e nel contempo esserci.

Quanta bellezza nel modo di vedere e vedersi, di raccontare e raccontarsi di questi nostri ragazzi. Ironia, fatica, dubbio, leggerezza, anche durezza. Qualche esempio.

“Florida isola per naufraghi privi d’inventiva” contiene precisione, un modo di guardare-attraverso, di avere la percezione che anima il cuore di chi coglie il naufragio di questo tempo pallido.
Quasi a rispondere appare questa pietra: “Scalando montagne, orsi fuori col fruscio dentro”.
La speranza che quel fruscio diventi un suono, un futuro: “Ascolta i rintocchi dell’invisibile che fiorisce”.
Un esistere in questo futuro che si spalanca alla vita: “Cammino nel silenzio mentre il mare danza”.
Il mare, la libertà, la possibilità che ciò che ancora non è espresso ci faccia perdere la pesantezza crudele di quello che ci spaventa e ci toglie energie. Per questo: “Leggera nel mondo all’ombra della magnolia”.
Come passi di una bimba che si meraviglia: “Inciampare sui sampietrini guardando l’alba dal Gianicolo”.
E nell’inciampo, in quel quid che spezza la corsa appare il mistero di ciò che siamo e del luogo in cui agiamo.

Si tratta di alcune delle sessanta esercitazioni di poetica visione della propria mappa esistenziale.
Tutto bellissime, tutte significative. Anche quelle dei docenti che si sono messi in gioco.
“Correndo via, sapore di glicine in bocca” e poi: “China sulle vigne col profumo di mare” e “L’aurora pallida che muore verso occidente”.
Per arrivare alla meraviglia dedicata alla nostra Magnifica Terra elaborata da una gentile amica di Monticchiello, docente in un altro ateneo, che aveva assistito a un incontro: “Dagli orci agli ulivi seguo lucciole poetanti”.

Poetando alla vita

Ci siamo resi conto che le parole, da quelle sulla soglia dell’abitare alle sette della provenienza, descrivono meglio di ogni altra cosa i paesaggi umani che disegnano. Un poggiare i piedi sulla nostra terra, poetando alla vita. Come lucciole. Passo dopo passo a costruire una mappa del territorio e del nostro patrimonio comune.

Continueremo a fare di queste frasi, delle poesie del nostro vivere, barchette di carta. E poi le lasceremo libere di ricordare. Di riportare al cuore delle cose l’essenza. Per nuovi sorprendenti progetti destinati a renderci capitale del nostro racconto.

Provate anche voi. Mettetevi alla prova con sette parole.

Ps

Dimenticavo la firma, anche se è in cima al testo, questa è quella che conta: “Santa la pietra soffia rossi papaveri sulfurei”.

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