Ramadan, per l’islam il mese della preghiera a rischio provocazioni

Ieri notte, una linea appena accennata di luna crescente ha segnato l’inizio del Ramadan. Il nono mese dell’anno, nella tradizione islamica, dedicato al digiuno, alla preghiera, alle opere di carità e all’astinenza da azioni violente. Il tempo della pace e della riflessione. Ma come si concilia, tutto questo, con la guerra di Gaza e, più in generale, col conflitto israelo-palestinese?
Netanyahu si è rimangiato i solenni impegni sulla libertà di culto, che aveva preso qualche settimana fa, rassicurando gli americani, prima ancora che il mondo arabo.
Rischio che quella di Gaza, a Gerusalemme diventi guerra di religione, ma sarebbe contro tutto l’islam e il mondo arabo attorno.

Il pensiero della comunità islamica mondiale va soprattutto ai palestinesi della Striscia e della Cisgiordania che hanno iniziato il Ramadan molto prima di tutti gli altri, un digiuno forzato a causa della mancanza di cibo e d’acqua

Alla moschea di Al-Aqsa, luogo santo

Sul Monte del Tempio di Gerusalemme, la Spianata delle moschee, prima tra tutte Al-Aqsa, che per tutto l’islam è il luogo sacro. Meta, ogni anno, per centinaia di migliaia di fedeli del Profeta, che vi si recano a pregare. Il terzo luogo santo, per importanza, dell’universo islamico. Ebbene, qualche stolto e irresponsabile ministro dell’attuale governo israeliano, esponente dell’ala più dura e intransigente, quella nazionalistico-teocratica, aveva proposto di bloccare l’accesso alla moschea. «Per ragioni di sicurezza». Un altro schiaffo al popolo palestinese e un rozzo tentativo di trasformare un confronto geopolitico in qualcosa di molto più incendiario: una guerra di religione. Il Premier (pare anche dopo forti pressioni della Casa Bianca) aveva assicurato «che Israele avrebbe garantito la libertà di culto». Ma già ieri, la polizia israeliana ha preso a manganellate centinaia di fedeli che si accalcavano all’ingresso della Spianata, per cercare di entrare nella moschea di Al-Aqsa.

Il potere del ricatto per una guerra di religione

Un’altra bruttissima pagina di questa terribile crisi, che sta facendo perdere, giorno dopo giorno, all’attuale governo di Tel Aviv, il sostegno e la solidarietà di cui aveva immediatamente goduto, subito dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Evidentemente, i leader del ‘suprematismo ebraico’, che stanno progressivamente portando il Paese alla deriva, cioè Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, mantengono un potere contrattuale politico nei confronti di Netanyahu. Un potere che sembra assumere anche forme ricattatorie, visto che l’accordo dei partiti estremisti è indispensabile per tenere in piedi il governo e non andare subito a nuove elezioni. Una mossa che, quasi sicuramente, segnerebbe la fine politica di Netanyahu.

Garusalemme di paura, testimoni vietati

Il quotidiano liberal israeliano Haaretz, dopo avere dato conto dei blocchi e della reazione della polizia, ha anche spiegato che, per evitare incidenti più gravi, alla fine, spinti dalla folla, molti fedeli, ma solo anziani, sono stati fatti entrare, prima sulla Spianata e poi nella moschea. «Alcuni giovani sono riusciti ad entrare quando sono arrivati con i genitori – scrive Haaretz – oltre i casi in cui la polizia ha aperto le barriere a causa della pressione creata dagli assembramenti. Alla fine ha lasciato entrare chiunque, senza essere controllato». Più una scelta obbligata per evitare guai maggiori, dunque, che un piano programmato. Anche perché i responsabili della sicurezza nazionale si sono mossi per tempo.

La polizia ha infatti emesso decine di ordini restrittivi, contro attivisti e giornalisti palestinesi, diffidandoli dall’entrare nell’area della Spianata. Il Ramadan rischia così di essere la goccia che fa traboccare il vaso. Per Israele.

Finalmente la reazione americana

Dure reazione dall’Amministrazione Biden, colta la criminale provocazione politica. Accenni di scontri sulla Spianata delle mosche che se insistiti e via via sempre più violenti, potrebbero far esplodere Gerusalemme e Israele. Il ministro Ben-Gvir provoca, cercando di esacerbare gli animi, mentre Smotrich, altro ministro estremista, blocca nei depositi del porto di Ashdod la farina per gli affamati di Gaza. Ma il vento è girato. L’uragano dei sondaggi e l’indignazione di un intero pianeta hanno spinto persino l’ultimo dei difensori di Netanyahu, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, a prendere le distanze e a lanciare quella che è sembrata più una minaccia che un avvertimento.

Biden, avvertimento-minaccia

Dopo avere ricordato le sofferenze di Gaza, tra cui i 30 mila palestinesi morti, la maggior parte donne e bambini, Biden ha detto, ieri sera:

«Mentre i mussulmani si riuniranno in tutto il mondo nei prossimi giorni e settimane per rompere il digiuno, la sofferenza del popolo palestinese sarà al centro della mente di molti. Lo è anche per me. Mentre otteniamo ulteriori aiuti salvavita a Gaza, gli Stati Uniti continueranno a lavorare senza sosta per stabilire un cessate il fuoco immediato e duraturo, per almeno sei settimane, come parte di un accordo che preveda il rilascio degli ostaggi».

***

AVEVAMO DETTO

Israele, lacrimogeni e manganelli nella moschea Al Aqsa

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro