Nel XII secolo l’irlandese Dermot MacMurrough re di Leinster era stato costretto dalla rivolta dei sudditi a fuggire dall’isola trovando rifugio in Inghilterra; al ritorno, una decina di anni dopo, si fece accompagnare da un esercito inglese. Nel 1175 fu così decisa la sorte dell’Irlanda che, con il trattato di Windsor, fu posta allora sotto la sovranità del re d’Inghilterra e divenne un paese sottomesso e occupato, dove fino al XX secolo si alternarono periodi di relativa pace a guerre e rivolte. Il solco tra dominatori e dominati si allargò con la riforma protestante e il conflitto assunse anche un carattere religioso.
Per un breve periodo la piccola nobiltà cattolica irlandese governò il paese (1642-1649) sotto il nome di ‘Irlanda Confederata’, ma Oliver Cromwell in quattro sanguinosi anni dal 1649 al 1653 riconquistò l’isola mettendola a ferro e fuoco. Si calcola che nel periodo della guerra circa un terzo della popolazione sia venuto a mancare, sia per le devastazioni e gli orrori della guerra, sia per le deportazioni in massa. Seguì la lotta tra re Giacomo II e Guglielmo d’Orange combattuta in Irlanda e che impose all’isola un altro pesante tributo.
Tra il 1845 e il 1849 vi fu la ‘grande carestia’ che provocò un milione di morti e fu la causa principale della grande ondata migratoria soprattutto verso gli Stati Uniti. Nell’Ottocento però, quando si affacciarono alla storia gli stati-nazione, il conflitto assunse anche il carattere nazionalista e la ‘questione irlandese’ divenne incandescente racchiudendo in se aspetti culturali ed etnici, sociali ed economici, religiosi e politici.
I primi piani per un’insurrezione generale in tutto il territorio irlandese maturarono a metà del 1914; nel maggio 1915 fu quindi creato un comitato segreto di tre membri che avrebbero dovuto mettere a punto i dettagli, ma il comitato operò anche all’insaputa dello stesso capo dei volontari Eoin MacNéill e di altri militanti del movimento indipendentista. Il 20 aprile fu diffuso un falso documento per provocare la reazione dei volontari e convincere gli ultimi indecisi: vi si sosteneva che i britannici stessero per condurre una grande retata di esponenti indipendentisti da rinchiudere nel castello di Dublino e poi deportare in Gran Bretagna. A questo punto fu chiaro anche a coloro che erano stati tenuti all’oscuro che si stava preparando un’azione di vasta portata.
La prima reazione dei vertici fu di fermare l’insurrezione. MacNéill, utilizzando un annuncio economico in codice pubblicato sul giornale «Sunday Indipendent», ordinò la sospensione dell’azione, ma, quando fu informato dell’arrivo di una nave tedesca carica di armi per gli insorti, dette il suo assenso. Purtroppo la nave non approdò sulle coste irlandesi e MacNéill tentò nuovamente di impedire l’insurrezione. Alla vigilia dell’azione, prevista per la domenica di Pasqua, sorse così un’indescrivibile confusione che ritardò il piano di ventiquattro ore: i sostenitori della rivolta, consapevoli che un’esitazione ulteriore avrebbe provocato in ogni caso una reazione inglese – dato che i preparativi ormai non potevano più restare nascosti –, decisero comunque di tentare il tutto per tutto.
A mezzogiorno di lunedì 24 aprile 1916, Lunedì di Pasqua, un gruppo composto da circa centocinquanta volontari occupò il palazzo delle poste e quasi contemporaneamente furono occupati il parco St. Stephen Green, la fabbrica Jacob, il palazzo delle dogane e l’Abbey Theatre. La rapida simultaneità di queste azioni illuse però gli insorti: nonostante fosse poco presidiato, ad esempio, non fu occupato il Castello, sede dell’amministrazione inglese, e soprattutto non fu effettuato nessun tentativo di occupare la centrale telefonica. Gli insorti nel frattempo ricevettero anche rinforzi, ma – coordinata dal Castello e dalla centrale telefonica – in breve fu messa in atto dai britannici una dura reazione che trasformò il centro di Dublino in una trappola.
Nonostante la sorpresa iniziale, i comandi militari inglesi erano infatti al corrente del tentativo: ingenti forze erano state concentrate nelle caserme a sud della città e gli accessi a nord erano stati bloccati. Il resto lo fece l’artiglieria: venerdì 28, oltre al palazzo delle poste, erano in fiamme Charlemont House, Aldborough House, Tyrone e Belvdere House. Alla richiesta di trattative da parte irlandese sabato 29, il comando britannico impose una resa incondizionata.
Il primo bilancio ufficiale dell’insurrezione parlò di duecentocinquanta civili uccisi e di oltre duemila feriti, ma la cifra non comprendeva ancora tutti gli insorti morti combattendo o quelli sottoposti a giudizio sommario e fucilati nelle ore successive, né i fucilati nelle altre contee dove si erano svolti atti di ribellione. La rivolta di Pasqua non aveva ottenuto il sostegno convinto di tutta la popolazione irlandese, ma alla sua conclusione tutti compresero che solo la piena indipendenza sarebbe stata la soluzione.
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