
L’ex premier pakistano Imran Khan
Agosto scorso: la caduta di Imran Khan, carismatico primo ministro del Pakistan prima sfiduciato e poi condannato al carcere, sarebbe il risultato di un’operazione coperta degli Stati Uniti. Lo scoop è targato ‘The Intercept’, uno dei più rinomati portali di giornalismo investigativo del mondo, e il caso ha voluto che fosse curiosamente realizzato alla vigilia dell’80esimo anniversario di un’altra congiura americana che ha cambiato la storia del Medio Oriente. E che sempre per il caso coinvolge l’altro Paese protagonista dell’attualità
Una operazione sporca che tira l’altra. Ripasso storico. L’operazione Ajax (nome ufficiale TP-AJAX per gli statunitensi, operazione Boot per i britannici), missione segreta promossa nell’agosto del 1953 dai governi del Regno Unito e degli Stati Uniti per sovvertire il regime democratico dell’Iran, allora governato da Mohammad Mossadeq, che aveva da poco nazionalizzato l’industria petrolifera. Mossadek ucciso e lo Sciah Reza Pahlavi al potere per recuperare il controllo sui redditizi giacimenti petroliferi iraniani.
Teoria del complotto, denunciata da più di mezzo popolo pachistano, ma pur sempre teoria. Ma dal 9 agosto, grazie a una fuga di documenti classificati finiti nelle mani di ‘The Intercept’, rivelazioni a raffica. Tre persone incaricate di chiudere il ‘fascicolo Imran Khan’. L’ambasciatore del Pakistan a Washington, Asad Majeed Khan, e due ufficiali del dipartimento di Stato Usa, Donad Lu (ex ambasciatore nel Kirghizistan e poi in Albania) e Les Viguerie. Sono i due americani da dare gli ordini: deporre Khan con un voto di sfiducia in cambio di ‘relazioni più cordiali’, molto più cordiali con gli Stati Uniti e ‘perdono per i suoi misfatti fino cinesi e russi’. Perdono economico al Pakistan. L’alternativa è una ‘non-alternativa’: «isolamento».
Il 7 marzo, mentre Khan è già entrato in campagna elettorale e accusa l’Occidente davanti a folle oceaniche di simpatizzanti di volere e trattare il Pakistan come uno ‘schiavo’, Washington ha deciso segretamente il suo futuro: dovrà cadere assieme all’agenda russa su Islamabad. E in fretta perché gli Stati Uniti vogliono creare una coalizione internazionale a supporto dell’Ucraina e il comportamento spregiudicato di Khan, che al momento dell’invasione si trovava a Mosca e che si è astenuto da una risoluzione di condanna votata al Palazzo di vetro.
Come da programma, il 10 aprile lo storico voto di sfiducia. Ma è solo l’inizio del progetto di cancellazione del personaggio, a fare terreno bruciato attorno a Khan e al suo Movimento per la giustizia, per falsare le elezioni generali in arrivo. Il partito di Khan è vittima di due scissioni, ma la rabbia del Pakistan profondo non sembra placarsi. Anzi, l’intensità e la frequenza delle dimostrazioni a favore del premier sono cresciute di pari passo con la repressione sempre più feroce. Risultato: più di 60 morti, 7000 arresti e 1000 feriti dall’aprile 2022 all’agosto 2023.
Khan, che il 5 agosto dello scorso anno è stato condannato a tre anni di prigione per ‘aver venduto illegalmente degli assetti statali’, e a cinque anni di ‘incandidabilità’ –questo il passaggio chiave-. «La destituzione eterodiretta di quello che è stato il politico del Duemila più apprezzato dai pakistani, in particolare dai giovani, potrebbe presentare delle conseguenze nel medio-lungo termine», denuncia la stampa internazionale.
L’ex premier è stato rimandato a casa dal Parlamento, con un voto di sfiducia, la scorsa primavera. Ma il voto era truccato, e la sfiducia –rivelazioni ‘The Intercept’-, era stata preparata a tavolino. Tante zone d’ombra. Ricordando tutti che il Pakistan è la sola potenza nucleare islamica, di 240 milioni di abitanti, Ed è l’architrave strategica di uno spicchio di pianeta vastissimo, un crocevia che mette assieme ‘sfere d’influenza’ diverse e spesso confliggenti tra di loro.
Scriveva il Wall Street Journal: «La vena autoritaria di Khan, la sua simpatia per l’Islam radicale e l’ostilità verso l’America, lo collocano sullo stampo dell’ex presidente egiziano Mohammed Morsi e di quello turco Recep Tayyip Erdogan». BBC: «Khan sostiene di essere stato vittima di un tentativo, guidato dagli Stati Uniti, di influenzare il cambio di regime in Pakistan, perché il governo da lui guidato aveva un’inclinazione anti-occidentale in politica estera, che ha incluso critiche alla guerra americane in Afghanistan».
Questione decisiva finale, il Pakistan possiede un arsenale nucleare stimato in circa 165 testate atomiche. Secondo l’Arms Control Association (Aca) è l’arsenale atomico in più veloce espansione rispetto a qualsiasi altro paese. Il programma nucleare pakistano nasce per la sua contiguità-rivalità con l’India, che condusse il primo test nel 1974. Il Pakistan conseguì lo status di potenza nucleare con gli esperimenti del 1998.