Una crisi sanguinaria, talmente confusa da apparire quasi irrazionale. Questa è oggi la guerra tra Israele e Hamas. Ma così è anche lo scontro dello Stato ebraico con tutte le altre formazioni della galassia armata islamica. Hezbollah su tutti. E i protagonisti del confronto interno, a loro volta, non sono entità ben definite, per giunta divise al loro interno, se non proprio frantumate. Questa mancanza di ‘coerenza strategica’, figlia della provvisorietà politica, fa sentire il suo peso determinante.
Ancora sotto shock per il bestiale attacco di Hamas, il Paese è andato in guerra. Ma la botta è stata troppo forte e, inevitabilmente, tutte le recriminazioni (chiamiamole eufemisticamente così), cacciate dalla porta ora rientrano tumultuosamente dalla finestra. D’altro canto, non si è capito fino a che punto Netanyahu, col suo nuovo esecutivo, si muova ‘sotto dettatura statunitense‘. Sembra che i duri come Ben-Gvir, non abbiano gradito la decisione di rimandare l’assalto di terra a Gaza. Come sollecitato da Biden.
C’è molta confusione, anche dal lato israeliano della crisi, alimentata dalla politica estera ‘double face’ della Casa Bianca. Ieri sera, di tutto questo si è parlato nel corso di una tavola rotonda via web organizzata dal quotidiano di Tel Aviv Haaretz, alla quale è stato invitato a partecipare anche chi scrive. E proprio il ruolo degli Stati Uniti nella crisi di Gaza, e il viaggio del Presidente Biden in Israele, sono stati i temi del dibattito animato da Esther Salomon, l’editor in chief, con i corrispondenti da Washington e New York, Ben Samuels e Judy Maltz.
Secondo un sondaggio Haaretz, il 75% degli israeliani intervistati concorda con le raccomandazioni di Biden, cioè quelle di evitare assolutamente di allargare il conflitto. E, specialmente, tutti suggeriscono di non coinvolgere Hezbollah e l’Iran. Solo l’11% è apparso deciso a portare avanti una strategia che potremmo definire di ‘o la va o la spacca’. Esigenze di sicurezza nazionale dello Stato ebraico, e ricadute geopolitiche, su una scala più vasta, della crisi di Gaza per gli Stati Uniti.
Durante il dibattito di Haaretz si è discusso molto di soluzioni, ma si è visto subito che il momento è il meno adatto per studiare piani diplomatici di lungo periodo. In questa fase, insomma, si va avanti alla giornata, cercando di evitare peggioramenti catastrofici. La sensazione che ne abbiamo ricavato, da osservatori esterni, è che anche gli specialisti israeliani girino in tondo, sorpresi, ma sarebbe dire meglio scioccati, dalla violenza di un attacco che nessuno si aspettava.
Così come nessuno si aspettava, dopo il ‘sabato nero’ dei Kibbutz che circondano Gaza, la piega che avrebbe preso il dibattito nell’opinione pubblica internazionale. Per molti, i massacri compiuti da Hamas avrebbero dovuto essere la realtà che metteva tutti d’accordo, distinguendo nettamente tra il bene e il male. Invece sullo sfondo della carneficina di Hamas, si agitano problemi vecchi di tremila anni ancora irrisolti. E la loro percezione è radicalmente diversa, dentro Israele, nella Palestina e nel resto del mondo.
Questo ha cercato di spiegare Judy Maltz da New York, quando, a precisa domanda, ha affrontato un tema spinoso e di scottante attualità: la vera e propria rivolta di alcune università e college americani a favore dei palestinesi. Le stesse prese di posizione nell’ala sinistra del Partito Democratico Usa e di molti altri gruppi politici e d’opinione. Una levata di scudi che sarebbe assolutamente fuorviante liquidare come frutto di sentimenti ‘antisemiti’.
Naturalmente, come ha riconosciuto Ben Samuels da Washington, il fragoroso ritorno sulla scena internazionale della crisi israelo-palestinese, ha il suo effetto-domino sulle Presidenziali americane. Legare, come ha fatto Biden, Israele all’Ucraina per raccogliere fondi di bilancio può essere un’arma a doppio taglio. Anche perché l’atteggiamento del Partito Repubblicano, sugli stanziamenti per la difesa a Israele (14,3 miliardi di dollari), potrà essere molto più benevolo, rispetto a quello che ci si aspetta quando si discuteranno i fondi di bilancio per l’Ucraina, per la quale la Casa Bianca vuole chiedere ben 61 miliardi di dollari.
Mettere assieme le due crisi per Biden è stato, più che altro, una vera operazione di ‘cosmesi contabile’. Basterà? Non lo sappiamo, perché il suo ‘appeal‘ nella sinistra liberal, per non parlare dei tre milioni e mezzo di arabi-americani, è in caduta libera.
Ecco come Haaretz riporta le parole di un’elettrice Usa di origini arabe: «Il Presidente precedente (Trump) voleva metterci al bando e chiuderci nei campi di concentramento. Questo (Biden) vuole solo che moriamo. Vergogna, non voteremo mai per lui».