Xi Jinping fa un’altra mossa significativa, nella ‘lunga marcia’ della Cina verso l’egemonia planetaria, da raggiungere quantomeno in condominio con gli Stati Uniti. Lunedì sarà in Russia, dove incontrerà Vladimir Putin, per un vertice che servirà a rafforzare la partnership strategica tra i due Paesi. Al centro dei colloqui, ha ricordato il Ministero degli Esteri di Pechino, ci saranno la guerra in Ucraina e il piano di pace, in 12 punti, proposto dal leader cinese. Si tratta di un viaggio che ha implicazioni geopolitiche di vasta portata, che vanno al di là dello scacchiere europeo.
In sostanza, la Cina intende proporsi come nuovo ed efficace mediatore globale, in grado di svolgere un ruolo ‘calmieratore’ in tutte le aree di crisi. Il recente successo della sua azione diplomatica nel Golfo Persico, dove Xi ha rimesso (per ora) d’accordo, a sorpresa, Iran e Arabia Saudita, rappresenta il segnale di una nuova filosofia nelle relazioni internazionali. Per questo, Xi non può correre il rischio (benché sia vero) di essere accusato di parzialità e di tenere, nei fatti, bordone a Mosca. Vuole discutere della guerra anche col Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, al quale, pare di capire, proporrà in seguito qualche forma di ‘cessate il fuoco’. La tregua armata, però, non è tra le opzioni contemplate dalla Casa Bianca che, sostanzialmente, sta dettando a Kiev l’agenda delle mosse diplomatiche.
Come riporta il Wall Street Journal, «gli Stati Uniti stanno cercando di respingere la proposta di Pechino per la sospensione dei combattimenti, pensando che ciò aiuterebbe la Russia a consolidare le sue conquiste territoriali in Ucraina». Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, durante una conferenza stampa ha chiarito il punto di vista americano. Biden vuole evitare che una tregua riconosca, di fatto, le conquiste territoriali ottenute con la violenza da Putin. Il Presidente crede che un accordo provvisorio possa essere solo un espediente, per consentire agli alti comandi di Mosca di riorganizzare le proprie truppe, in attesa dell’annunciata controffensiva ucraina, in tarda primavera.
La visita di Xi a Mosca, però, è destinata a far aumentare le preoccupazioni Usa, anche sul versante più squisitamente geopolitico. Si teme, infatti, un processo di progressiva saldatura nell’alleanza sino-russa, con rovinose ricadute in tutti gli scacchieri, a cominciare dal Medio Oriente, proseguendo con l’Africa, per finire all’Indo-Pacifico. La Cina potrebbe ‘barattare’ il sostegno offerto, più o meno discretamente, alla Russia, con un contraccambio “no limits” politico ed economico.
Con un apparato produttivo e commerciale che è almeno 10 volte superiore a quello di Mosca, Xi Jinping può attrarre stabilmente la Russia nella sua sfera d’influenza, facendone, più che un partner, un enorme Stato-satellite, con cui condividere la sfida all’Occidente. Che è militare, ma anche scientifica, tecnologica e, soprattutto, economica e sociale. Ormai, possiamo parlare di una sfida tra “modelli”.
L’Ucraina e poi anche Taiwan, per la pessima gestione che di queste crisi hanno fatto gli Stati Uniti, sono diventate due ‘hot spot’, capaci di rincollare Russia e Cina e di metterle dichiaratamente contro l’Occidente. Crisi che si sarebbero potute appianare diplomaticamente, con reciproche concessioni (e senza sparare un colpo) sono scappate di mano. E ora nessuno sa più come gestirle. Si vive alla giornata, in una fase storica in cui prendono sempre più piede istanze di ‘deglobalizzazione’, dato che si ha paura a dipendere gli uni dagli altri. Il problema è che gli equilibri delle relazioni internazionali sono saltati. La complessità e il ritmo degli eventi sconvolgono la diplomazia, che fa fatica a fronteggiare scenari in rapida trasformazione. Il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, conosce bene i pericoli di un mondo che si sta polarizzando attorno a uno scontro che vede l’Occidente in rotta di collisione, non solo col blocco sino-russo, ma anche con i cosiddetti ‘non allineati’ e con molti Paesi in via di sviluppo.
Nell’ultimo mese, ripetutamente e come un mantra, Blinken ha intimato alla Cina ‘di non fornire armi letali a Putin’. Il motivo è chiaro: il gigantesco blocco euroasiatico, in questo modo, avrebbe risorse ed expertise per prolungare la guerra in Ucraina all’infinito. Una cosa che i governi democratici dell’Occidente, semplicemente, non si possono permettere. Perché cadrebbero a uno a uno. Ergo: il tempo lavora a favore degli autocrati, che non hanno problemi di ricerca del consenso. Ricapitolando. O si trova, subito e con impegno, una soluzione negoziata al conflitto ucraino, oppure l’inevitabile escalation ci potrebbe portare, prima o dopo, a un’apocalisse.
Ma forse, ora che è già cominciata la campagna elettorale per la sua rielezione, nel 2024, il Presidente Biden cambierà idea. E cercherà di fermare la guerra. Prima di tutto per non perdere la Casa Bianca.