
La Fad alzerà i tassi, questo è sicuro. Si parla di uno 0,75%. Anche se il Wall Street Journal riporta voci che azzardano addirittura il possibile incremento dell’1%. È, comunque, l’economia Usa a dettare i tempi e gli altri, a partire dall’Europa, si devono adeguare. La Fed alzerà i tassi e pubblicherà un “dot-plot”, una sorta di programma antinflazione, che verrà rigorosamente attuato nei prossimi mesi. “Persone che hanno familiarità con la questione” (espressione anglosassone convenzionale per esprimere un anonimato “autorevole”) hanno anticipato, secondo il Financial Times, che questa volta i “falchi” hanno sfoderato gli artigli. La stretta monetaria, insomma, sarà pesante e continuerà nel tempo “per raffreddare l’economia” e, aggiungiamo noi, anche la domanda interna, che ha fatto schizzare i prezzi di certe aree (come il carrello della spesa) a livelli che non si vedevano da 40 anni.
Nonostante la terapia d’urto di Powell (adottata in ritardo) e i tassi al 2,50%, i risultati ottenuti finora sono inferiori alle attese: l’inflazione “core”, quella dura, è ben radicata. E per estirparla, già circolano voci di rialzi “monstre”, che nei primi mesi del 2023 potrebbero toccare le vette dell’Himalaya creditizio: il 4,5%. Questo, matematicamente, significa una sola cosa: recessione. Con tutto il corredo di “danni collaterali”, dagli investimenti all’occupazione, che ne possono seguire. Pausa di riflessione. Ma se la Fed, con l’inflazione all’8,3% e i tassi al 2,50% oggi rialzerà questi ultimi di un altro 0,75%, la nostra Banca centrale europea che dovrà fare?
A Francoforte sono in mezzo al guado. Hanno tenuto i tassi negativi per troppo tempo e si sono fidati ciecamente della “sindrome svedese“. Cos’è? A Stoccolma pensavano di avere scoperto l’acqua calda. A partire dal 2009 la loro Banca centrale (Riksbank) si era inventata un giochino “per favorire la crescita” (sulle spalle degli altri): tassi negativi sui depositi e mutui sotto zero. Cioè, il mondo sottosopra. Sembra una barzelletta, ma i risparmiatori dovevano “pagare” per depositare i loro soldi. E gli investitori, al contrario, se chiedevano un prestito, lo ottenevano gratis con l’aggiunta di un “interesse”. Questa gabbia di matti è andata avanti per un bel pezzo, fabbricando crescite fittizie e alimentando il potenziale asteroide inflattivo, che alla fine è veramente caduto sui mercati. Sterminando tutti (o quasi) i dinosauri politici ed economici. Solo fino a un paio di mesi fa l’Eurozona aveva tassi di riferimento negativi e inflazione “armonizzata” media oltre il 7 per cento.
La Svezia, rosa da un’inflazione quasi al 10 per cento, ha rinnegato la sua filosofia monetaria, alzando i tassi fino all’1,75 per cento. Il problema per noi, però, è che il “board” di Francoforte e Cristine Lagarde hanno opzioni limitate, che dipendono, in buona sostanza, anche da come si muoverà la Federal Reserve. Se il “dot-plot” americano delineerà scenari di forte resistenza delle tensioni inflazionistiche, la Fed dovrà puntare ad alzare i tassi a livelli mai visti da oltre 40 anni. E la BCE la dovrà seguire, se non vorrà vedere l’euro strapazzato dal dollaro. Con tutto ciò che ne consegue, in termini di maggior aggravio per il bilancio dell’import europeo.
Il problema, per l’Eurozona, è che l’economia americana si può permettere una “recessione tecnica” perché ha fondamentali decisamente migliori di quelli europei. Pil, tasso di disoccupazione e la stessa inflazione conferiscono al sistema Usa maggiore flessibilità e garantiscono minori ripercussioni sul piano sociale, rispetto a ciò che potrà capitare in Europa. D’altro canto, i mercati ora pagano il pegno di una finanza allegra e senza criterio.
Dopo la Fed, domani saranno la Bank of England, la Swiss Bank e la Banca centrale di Norvegia ad alzare i tassi di almeno lo 0.50 per cento. Ormai è una corsa collettiva e contro il tempo, perché l’inflazione è sfuggita di mano a tutti, ma nessuno è in grado di elaborare modelli predittivi affidabili. I sistemi, quando diventano non lineari, hanno questa caratteristica: piccole variazioni possono amplificarsi, fino a dare risultati finali catastrofici. I mercati, oggi, sono complessi, imprevedibili e, quindi, ingovernabili.